Per goder in Amor ci uuol Costanza Dramma per Musica CONSECRATO all' Alt: Reali di GIACOMO Regio Prencipe di Polonia, & EDVIGA ELISABETTA Prencipessa di Neoburgo. In occasione dlle Reali Nozze celebrate in Varsauia. Di Gio: Battista Lampugnanj Fiorentino. SER. REALI ALTEZZE. AVerei creduto di mancare al profondo umilmo : rispetto, con cui uenero i gran Nomi dll' AA.VV. RR., se mentre con Festosi applausi sa. Eco alle glorie de’ Vostri Regij Sponsali questo nobilissimo Regno, auessi io tralasciato di promulgare in qualche piccola parte il giubbilo , & il contento, che ne ha prouato I’ animo mio cosi parzialmente deuoto alla Vostra Augusta Grandezza. Per minimo indizio dicio deue seruire all’ AA. VV. RR. Io scarso tributo , che ora gli fo, di questo mio Dramma, gl' infiniti difetti dei quale non poteuano esser’ altrimcnti resarciti, che com parendo alla Luce sotto i gloriosi auspicij della Vostra potentissima Protezione. Supplico L’ AA. VV. RR. ad ono- onorare d' un generoso gradimento, non Pofferta, che non e per alcuna sua parte di cio meriteuole , mabensi I’ ossequioso rispetto dell’ animo mio, che nell’ esibirla non ha desiderata altra gloria, che quella di farmi conoscere, quale con umilissima rassegnazione mi dimostrero fino all’ ultimo spirito Delle VV. RR. AA. Varsauia 20. Marzo 1691. mo mo mo Vmii. Deu., & Osseq: seruo Gio; Battista Lampugnani. Cortese Lettore. ARrossisco di presentarti Ia mia prima composizione in questo genere cosi informe, e puo dirsi, piu abbozzata, che perfetta. Questo Dramma fu da me incominciato con ogn altra intenzione, che di farlo pubblico con le stampe, ma solo per complacere agl Amici, che mene pregauano, si perche le mie piu graui occupazioni non poteuano darmi tanto tempo da far cosa di miglior gusto, si perche il termine di tre sole settimane, neIle quali m’ e conuenuto darlo finito all’ Autore della Musica, era troppo angusto per il buon' esito d' un' impresa, che per esser la prima , non e gran fatto, che mi sembrasse assai difficile. Tuttauia essendo poi stato costretto a far questo passo dai comandi autoreuoli di chi dispone d' ogni mio uolere, deui piu tosto, che censurarmi, usar compassione a me, che ben conosco i gran difetti, che in quest' opera si contengono, A3 e sono e sono affatto priuo di tempo per nmediarui. Auuerti, che tutti i uersi, che trouerai notati con questo segno,, e conuenuto lasciargli nella Musica , per seruire alla breuita, o pur mutargli per meglio accomodarsi al senso dei discorso. Le Voci Dio, Deita, Fato, Destino, e simili, che sparse in uarij luogli trouerai, non son poste per altro, che per seruire alle Leggi della Poesia, non intendendo io di derogar punto con esse alla professione, che fo di buono, e costante Figlio della S. Romana Chiesa. viui felici. Argo- Argomento. Alfonso Re di Napoli dopo auer amata, e data fede di sposo ad Arsinda Prencipessa di Castro, fermatosi per occasione di uiaggto priuatamente in Messina, s' inuaghisce di Dorisbe figlia unica di Ruggiero Re di Sicilia. Ritornato Alfonso a Napoli, risolue di far chie dere a Ruggiero le nozze di Dorisbe. Arsinda sentendosi schernita, in abito uirile sene ua a Messina, e s' introduce contitolo di Segretario nella Corte della Prencipessa Dorishe, non per altro fine, che per impedire il matrimonio di essa con Alfonso, il quale crede Arsinda morta, non consapeuole della di lei fuga. Ruggiero auendo risoluto di maritar Dorisbe con il Prencipe Ismeno suo Generale, anchesecocol uincolo di parentela congiunto, e da Dorisbe teneramente amato, per stabilire in uno del suo sangue la successione del Regno da re- repulsa alle richieste d' Alfonso: Questo irritato si dispone a tentar con la forza il conseguimento di Dorisbe , che pero unita una poderosa Armata nauale , pon l' assedio a Messina, dal qual fatto si da principio al Dramma. Interlocutori. Ruggiero Re di Sicilia. Dorisbe sua Figlia Amante d’ Ismeno Prencipe, e Generale dell' Armidi Sicilia, Arsinda prencipessa di Castro in abito d’ uomo, sotto nome di Fileno, Amante d’ Alfonso Re di Napoli Amante di Dorisbe Irene Dama di Dorisbe, Amante d’ Arsinda creduta Fileno. Arsace Capitano delle Guardie d’ Alfonso Amante d’ Irene. Don Ferrante Consigliero dei Re di Sicilia. Drullo serno d’ Ismeno. Eurillo Paggic di Dorisbe. La Scena si rappresenta in Messina. Autore della Musica fu il Sigr. Viuiano Augustini Musico della Regia Cappella. AT. ATTO I Scena ima. Ruggiero, Dorisbe, e lsmcno. Rug. VDiste Alfonso omai Freme d’ ira, e domate di Sicilia le forze, a queste mura I’ ultimo eccidio di recar procura- Amor li armo la mano, Amor di possederti, amata Figlia. lo, ch’ al tuo caro Ismeno Bramo uederti unita disprezzo Regno, e vita; la rouina e sicura, euidente il periglio. Gencrosa Dorisbe, Ismeno inuitto, da te chiede consiglio, da te soccorso chiama, un padre, che t’ adora, un Re, che t' ama. Scena 2da. D. Perrante, e detti: D. Ferr. Sire, dal Campo ostiie per graue urgentc affare d’ ordine del suo Re qua giunge Arsace. Rug. Temo di nuoui insulti alia mia pace. Dor. Coraggio, oh Genitor, ism. mio Re, costanza, Rug. Der. Venga. da se. Aneor non son misero a bastanza. Dor. S’atmi pur d’ ira, e furor Contro me l' alato Dio, Che sapro domar ben io Di quel barbaro il rigor. Ne la mia dolce fiamma , mio Bene, amato Ismeno, ad onta dei destin mai uerra meno. Scena 3za. Arsaee, D. Ferrante, e detti; Ars. Signor, qual piu t’ aggrada, O di guerra, odi pace Nunzio son’ io. Gia’ Aifonso e risoluto. se di Dorisbe a lui non uien negato il possesso bramato, amico il prouerai ; se persister uorrai nell’ usata repulsa, egli destina con la forza, e con l' armi d’ occupar cio, ch’ agl’ amorosi preghi ostinato tu neghi. A risoluerti intanto di due sol' ore il termine preseriue: percio prima ch’ arriue sui tuo capo, e de’ tuoi tanta rouina, pruciente ti consiglia, pensa pensa a te stesso, e al minor mal t' appiglia. Rug. Oh come del suo male fu ben persago ilcore ! ( re. Figlia amata. Dor. Coraggio, oh Genito- ad Ars. Tu ritorna ad Alfonso, e falle noto, che da quel, che ad Ismeno amoroso mi strinse antico rodo, tenti pur quanto puo netnica sorte, non fia che mi disciolga altri che morte. Dilli, ch’ i suoi furori poco , o niente cur’io, e che, pur ch’ io l’ ottenga, ai mio diletto Antemural faro di questo petto. Rug. Ismene, almen tu prendi la cura dei mio Regno, e della uita, tu mi consiglia, e la ragion m’ addita. Ism. Sire, la uita, eil Regno di Ruggiero ama Ismeno, e perche l’ ama pur che uiua Ruggier, di morir brama. Qnesto ferro, questa spada per te solo impugnero, S’ il rubei non fia che cada almen lieto io moriro. Dor Ma se per mia cagione, per l' amor, che mi porti, caro bene adorato, a questo Regno il fato destino tante strage, c tante morti, ah ah non rapir con si sfrenaro impegno a te la libertade, al Padre il Regno. Cedi, cedi al destino, ch'i suoi fieri decreti pur troppo anco per me prouo indiscreti. Dor. Ah troppo uile Amante! ad Ars? vanne, vanne ad Alfonso. dilli, ch io son costante, c che potra Dorisbe far sua schiaua ben si, ma non amante. Rug. Della figlia ai uoleri il Padre ceda. Torna Arsace ad Alfonso, dilli, che morte attendo, ( ce ueggo il periglio, e pur l’ incontro auda Per dar altrui la pace. Ars. Obedisco. parte. Dor. e tu,Ismeno cosi paghi ii mio amore, e la mia fede ? Quell’ Amor, ch’ a me care aneor le pene rende, e mi fa sprezzar uita, e catene ? Quella fe, che si forre i miei uoleri auuinse ai uoler tuoi cosi uilmente conculear tu uuoi! Ism. Mia uita, Iascia almeno - Dor. Taci, che uorrai dir? Tesor, che bramasi. No che non stimasi, se, ch’ altri onengalo si puo soffrir. Taci &c. uuol partire, Ism. Ism. Deh ferma, arresta il pie. Dor.si ferma. Amor, che gemere fra i Iacci, e perdere il suo ben tollera amor none. Deh &g. Mano, ua pur, che mentre per tua difesa il ferro nemico incontrero constante, e forte fara dell' amor mio fede la morte. Scena 4ta. Ruggiero, e D. Ferrante. Rug. Nuoi, che i nostri fati su nel Cielo ognor Leggete con eterna uerita, uostr’ influssi meno irati sul mio capo omai spargete, e benigni a menarrate, riuelate, di me, de’ mici, dei Regno e chesara D..Fer. Sire, il dado e gia tratto, la rouina sourasta, e per schiuarla il consultar non basta. Fa’ d’ uopo ad altra cura L’ animo accomodar, uolger la mente, e con mano prudente aggiunger forze alie cadenti mura. Rug. Dunque si uada, alia fatale impresa ogni ogni forza s’aduni, c in un si gran periglio cio che non puo la mano, opri il cosiglio. Ia causa e giusta, e se del giusto amico e il Ciel, non fia, che cada del giusto ai danni mai nemica spada. AI mio Real diadema la potenza Diuina ( porte. gran suenture, o gran glorie oggi destina- D.Ferr. Amor, tu, che la face prestasti a tanco ardor, tu lo smorza, e rinforza il ualor di chi soggiace per tuo gioco d’ Astri infidi al riotenor Scena 5ta. Arisinda sola Quanto atroci uer me fete e rubelle, crudelissime stelle- Cadrai Messina altera, e d' Arsinda infelice la speranza primiera Fra le ruine tue cadra sepolta. Vedro, uedro fra l’ armi oggi Dorisbe accolta in braccio a quel crudel, chc mi tradi. vedro- Vedro d’ Alfonso il core ad onta mia contento fra le Iusinghe dcl nouello Amote. Or che ti gioua Arsinda fotto mentite spoglie Iungi dal patrio Lido di Dorisbe ai comandi sol per amore in catenar le uoglie, se in faccia a quell’ in fido per decreto d’Amor troppoin costante delusa restar dei misera Amante ? Ma non fia uer, eh’ io ceda. Fa pur contro di me ogni tuo sforzo Amor, che pur la uincero. Con arte ingegnosa or rigida, or pietosa dei tuo fiero rigor' Alfin trionfero. Fa pur &c. Ma Dorisbe qua giunge: Pur che d’ Ismeno Amante ( ghi sempre ella sia, ne mai d’ Alfonso ai preamorosa si pieghi, ogn’ arte adoprero, Scena 6ta. Dorisbe, & Arsinda. Dor. Humi tirrani con con troppa crudelta congiuraste a’ miei danni. Contro uoi pugnarnon so, oh superne Deita, se cosi uogliono i fati , i decreti dispietati di quel Nume io soffriro, che pieta di me non ha. Contro &c. Per oppormi al tuo rigor, Fatorio, uirtu non ho. se cosi vuol’ empia sorte alii strali della morte sia bersaglio questo cor, che schiuargli ancor non puo Per &c. sol contro te m’ adiro, Ismen, timido Amante. Ars. Ma quale il tuo sembiante, mia Sighora, mio Nume, di temerario duol ria nube ingombra ? Forse cosi t’ adombra del Regno, di Messina L' imminente ruina? Dor. Ah ben tu sai, Fileno, qual core a questi affanni di durissima felce io porto in seno. Ars. Che dunque ti tormenta? Dor. D’Amor la crudelta, che che nel petto d’ Ismeno pose per mio martir tanta uilta. Ars. Fors e t’ inganni. Der. Ahime fosse puruero, Ma non erraro i sensi, allor che l’ Amor mio saldo, e sincero alla salute, al Regno temerario pospose, e l' alto impegno mi persuase a ritrattar: d’ Alfonso poi uolle indurmi a secondar le uoglie, per minor mal, dicea; se mai d'Amore le strale il cor ti punse, giudic atu, s’ e giusto il mio dolore. Ars. Consolati, oh signora, che sol di troppo Amore Ismeno e reo. Quel chc t e cedere ad altri indusselo non fu timor, sol che di perdere quel ben, che rendelo beato ognor. Consolati, oh signora, troppo sei cara aIsmen, troppo ei t'adora. Scena 7ma. Drullo, & detti. Drul. Rouine, precipizi, sassate, balestrate, archibusate, B ver- versiere scatenate, Diauoli dell’ Abisso, misericordia, Aiuto- Dor. Drullo,che c’e di nuouo? Drul. Aiuto, aiuto. Ars. Parla, che porti? Drul. niente, ohime, correte correte a rompicollo. Dor. E doue s’ha da correre ? Drul. Non u' e tempo da perdere, correte , e lo uedrete. Ars Parla, di, cosa c e? Drul, Malanni, guai, Oh poueto Padrone ! Dor. Che? Drul. Non posso parlar, son mezzo morto. Dor. Che dici del Padrone ? (to. Drul. Lasciate, ch’ io respiri. Dor. Ah scelera- Finiscila, fellone. Drul. Signora, con le buone Ogni cosa saprete, e piu di quello ancor, che non uolete, Inemici son dentro , il mio Padrone , Ismeno su le mura fra certi Mascalzoni si troua mezzo morto, o poco meno, e se qualcun non lo soccorre presto, sicur fara del resto. Dor. On me infelice! Irene, serui,chi e la? Sce- Scena 8av Irene, e detti. lr. Signora, eccomi qua. Dor. Dammi la spada. lr Come ? Che nouita son queste? Dor. Obedisci, non piu. Oh fato rio, saziati almeno un di col sangue mio. lr. Ecco la spada. Dor- Amore, in tuo nome l’ impugno, si soccora il mio bene, si uada, e a grand’ onore s’ ascriua nel fatal duro periglio, fe pur che uiua Ismen, Dorisbe more. parte. Ars. Anch’ io ti seguo. lr. Ferma, ferma, amato Fileno. E abbandonar non curi, chi sol per amor tuo langue, e uien meno Ars. Se chiedi amore, lrene, l’ impossibil tu chiedi, e all’ aure in tanto spargi i sospiri, e full’ arene il pianto. lr. Dunque amor tu mi neghi? Ars. Dico, che inuan tu preghi. lr. Tu sei troppo crudel con chit’ adora. Ars. E tu importuna a trattenermi ancora. parte. Cosi ti prendi gioco de’ miei tormenti, Amor? Luc- Luccioletta innamorata porto ben nel seno il foco, ma ia fiamma, che beata douria farmi, il cor mi strugge, e distrugge ogni gioia un riorigor. Cosi. &c. Drul. Ancor per Ia paura mi fa salti mortali il cor nel petto, e tutta in un momento a mio dispetto fuggi, spari l' antica mia braura. Che ad Acheronte io ruzzoli, c sui mio capo spruzzoli saette irato il Ciel, se mai tue leggi apprendere, se mai piu spada prendere mi fai Marte crudei. Che ad &c. In guerra stia chi uuol’, io Iungi uoglio quanto dal fuoco star da quest imbroglio. Scena 9na. Eurillo , e Drullo. Eur. Drullo, Drullo, Drul.si spanenta chi e la? torna indietro guidone, d ch’ io t' uccido. Eur.Flemma, signor soldato, sete moito infuriato. Drul. Scusami, Eurillo caro , son son di me stesso fuore, quando mi salta il bellicoso umore. Eur. Oh che brauo Campione ! so che tu serui bene il tuo Padrone. Egli fra tanti Armati tutto fa col consiglio, e con Ia mano, tu pute il brauo fai, ma da lontano . Drul. Ho ueduto par troppo. (ch’io Dou’ ora e il mio Padron, sonstato anma quel taccol non e pel capo mio. Eur.Dou’ e la mia Padrona ? Drul. Ell’ era qui poc’ anzi, ma sentendo , che Ismeno era quasi spedito, o poco meno, per ouuiare a cosi gran periglio prese la spada, e poi di qua parti con intenzion d’ andare afarsi sbudellare. Euril. In somma queste donne fan cosi. In Amor fan le ritrose , le sdegnose, ma s un giorno nella rete alfin’ incappano, piu non scappano, e le uedete oprar cio che mai s' udi. In somma &c. Ma tu, che augurio fai di questa guerra ? Drul. Vada il mondo per terra, B 3 io io per me non ci penso; s esser piu non potro Siciliano, saro Napoletano . Eur. Ma se muore il Padrone? Drul. Morto lui resta Drullo. E ben pazzo da catena, e ceruello alcun non ha colui, che prende pena di cio ch esser doura. Eben &e. Eur. Sempre e stato anche questo il parermio, Orsu’ uogl’ ire anch’io a trouar la Padrona , Drullo, uuoi tu uenir? Drul, Verro, ma prima uoglio i patti fra noi , ch’ ognun deua badare a fatti suoi. Di morir non mi struggo, e s io ci uedo imbrogli, chiara tela uo dir, ti lascio, e fuggo. Eur. Andiam, non c’ e pericolo, non fia chi ti disturbi. Santa poltroneria Madre de’ furbi, Scena 10ma. Alfonso, Ismeno, Dorisbe, Arsinda, Arsace. Si uede il combattimento fra i soldati di Sicilia, e di Napoli, e fra essi ismeno, & AI- & Alfonso, il qvale uieno accompagnat o da Arsace. Alf. Cedimi, temerario, lsm. In uan lo speri, uo morir glorioso. Dor. si frapone Crndei lascia il mio sposo. si sospende il combattimento. lsm. Ah Dorisbe, perche? Lascia, ch’ io mora, o ch’ io priui di uita chi con man tropp’ ardita uuol rapirmi il mio ben. Assale Alfonso. Sogragiutunge Arsinda, & impedisce un colpo, che poteua ucciderlo. Ars. ad lsm. Tu lascia Alfonso. da se vim crudel, benche diuita indegno. si sospende di nuouo il combattimento. Ars. Opportuno soccorso. lsm Importuno ardimento. 0la Fileno, dunque tanto presumi d’ impedire ad Ismeno le sue giuste uendette? Ars. Fingoronne il motiuo dase. Preuidi, ehe d’ Aifonso la morte a’ nostri danni fabra saria di piu penosi affanni, onde stimai gran sorte d’ impedirne l' effetto. lsm. M’arde di sdegno un Mongibello in petto. Ars. Fu giusto il mio pensiero. Alf. Arsace, uanne, ne ne permetter, ch’ alcun dentro Messina tenti strage, o rapina. Non uenni per predar, allor ch’ Amore a tant’ opra mi spinse, il marzial furore nel mio petto Reale affatto es tinse. Tu rendi intanto, oh ualoroso Ismeno, ad Arsace la spada. Ism. La spada a chi non uinse Ismen non cede. Vinci, e i’ aurai. vuol' assaltr di nuouo Alfonso. Dor. Deh ferma, cedi a me questo ferro. ism. bacia la spada, e la rende a Dor. ism. Se tu il comandi, ai tuoi uoler m’ atterro. Ecco il ferro, ecco il core. Alf. Tronchero il fil di si superbo amore. S’ imprigioni costui. Dor. Sire, d’ Ismeno la liberta ti chieggio. Alf. O questo no. Ti basti, ( ro che al Padre il Regno, a te, che tant’ ado- la liberta concedo. Come se a tante spade per possederti esposi il petto mio, or che, merce d’ Amor, purti posseggo, uedermi auanti il mio Riual poss’ io? va pure alie catene. ism. Ah spietata Dorisbe, nel glorioso cimento per- perche non mi Iasciasti in preda a morte? Dor. Soffri, Ismen, di tua sorte il decreto crudele, ch’ a dispetto dei fato nell’ Amor, nella fe sempre costante aurai Dorisbe amante. ( mato. lsm. Temo d' un Re, che t’ ama, il braccio ar- Dor. D’una donna uedrai l' alta fermezza. lsm. Diuerra dispietato. Dor. Sono ai perigli auuezza- lsm. Se cedi, io moro. Dor. Viurai, perch io t’ adoro. lsm. Resta fedel a 2. Addio. Dor. Vanne sicuro Ars. Quant’ e propizio Amor' al pensier mio! Dor. St getta at piedi d' Alf ? e li porge la spada. Or che d’ lsmeno priua la uolesti, oh Tiranno, non fia, che piu Dorisbe al mondo uiua. Prendi il ferro, e nel seno l’ immergi di colei, che petche t’ aborisce pur deteftare, & aborrir tu dei. „ Ferisci, e il cor uedrai ,, di tai tempre fornito, „ che non t’ amo, ne t’ amera gia mai. ,, Ferisci, e il frutto sia di tua vittoria, „ ch’ una donna constante ,,com- „ compi con la sua morte ogni tua gloria Alf. Ergiti, uiui, & ama, generosa Dorisbe, ( ma. un Re, che tue grandezze, evuole, e bra- Dtr. Non vuol le mie grandizze chi m’ inuola il mio bene. Alf. Vedrai le sue catene per te cangiarsi in un Real Diadema. Dor. Alfonso, ancor l' offerte tue disprezzo. Non ho si uile il core, ( ra? morte ti chieggio, e non l’ ottengo anco- Alf. Non ho, che per amarti, il cor in petto. Dor. Ne io, chc per schernisti, onta, e dispetto parte. Ars. Vado per secondar si gran costanza parte. Alf. Che mi gioua, Amore di cinto al crin diadema d’oro, se poi inuan pietade imploro da quel bel, che mi feri? ,, Infclici, e che faro? ,, Che mi gioua effer potente, ,, se d’ un cor, ch’ Amor non sente „ il rigor uincer non so ? „ Ma tentero ben’ io, ,, che le lusinghe, e i uezzi ,, uincano i suoi disprezzi. ,, Soffriro, preghero , finche placato ,, renda quel Ciel, che mi puo far beato. Fine dell' Atto Primo. AT- A T T O II. Sccna Ima. Alfonso, Ruggiero, Dorisbe, & Arsinda. Rug. ALfonso ai uinto. Alf. Erri, Ruggiero. Rug. Ecome ? E non son io tua preda? Non e questo mio Regno a te sogetto ? Alf, Ne di te, ne del Regno unqua desio nacque nel petto mio, bramai sol di Dorisbe ,, il possesso, e la fede. „ Per cio sia pur d’ Ismeno „ di sangue a te congiunto ,, la successione al Regno. Ame sol basta „ di Dorisbe l’ affetto : Ma se questa ostinata per man del suo rigor mi uuol’ estinto, come puoi dir ch’ho uinto ? Rug. Alfonso, per tuo dono, e regno, e uiuo Conosco i miei doueri. la tua Regia pieta. Ma come, oh Dio ! della Figlia i uoleri uiolcntar poss’ io? Alf. a Dor. Mio nume adorato deh placati un di. Dor. Amore, il mio sato com- comanda cosi. a 2. Adoro il legame, chc dei mio cor ie brame Alf. a Dorisbe Dor.. Ad Ismeno a 2 si dolcemente uni. Mio Nume &e. Alf. E troppa impieta negar pietade a chi pietade implora. Dor. Saria non men uilta negar Amor’, e fedea chi s’adora. Alf. Dunque saraj sempre cosi constante? Dor- Si si saro Alf, Fa’ pur cio che t’ aggrada: morto e gia Ismen, Tu sei d’un’ ombra amante. da se Cio che non ponno i uezzi, opri l’ inganno parte. Dor. Ahi misera, che ascolto? se resisto al dolore e forza dir’, ch’ ho di mdcigno il core. Rug. Dorisbe, amata figlia, ti consola , e del Cielo ai uoleri t’ appiglia. parte. Ars. Animo, oh mia signora , forse non sara uer. dase Nuoua si fiera ahi che non e per me meno seuera, Dor. Dileguati in sospiri, speranza del mio cor, cangiateui, oh miei lumi, di di pianto in larghi fiumi, e se il mio ben perdei, fi uinca d’Astri rei con le lacrime il rigor. Dileguati &c. Ma no s’ asciughi il pianto, deluso. e uilipeso (da pianga il Tiranno e con suo scorno ue- ch’ esser sapro nel mio pensier costante pria chc di lui, d’ una nud’ ombra amate. Ars. Secio segue io respiro. parte. Magia benche da Iungi piu non uedo Dorisbe. Amor, sdegno e furore li poser l’ ali al pie. Misera Arsinda, chi sa, se Ismeno e morto, che Dorisbe pentita d’ AIfonso alle lusinghe un di non ceda? Ahi ch’ il timor m’ uccide. Con fiera baldanza Timor’ e speranza fan battaglia in questo cor, ne so dir chi uincera. Mi dice Amor, ch’ io speri, ma che pro, se poi piu alteri sent’ io ben, che rio timore alla speme gl’ assalti ne da? Con fiera & c. E fin’ a quando mai Con- Contro d' un' innocente oh ria fortuna, imperuersar uotrai? Ah me infelice, ah troppo crudo Alfonso! Alf. sente. Scena 2da. Alfonso, & Arsinda. Alf. da se Crudel costui m’ appella ? Perche dimmi Fileno, perch’ è crudele Alfonso ? Ars. Ohimè, s’ ei m’ ascoltò, son morta. Sire, cosi dicea Dorisbe, quando da me partì. Alf E Dorisbe perche crudei mi chiama ? A lei, che me disprezza, è ben douuto un si fatto attributo. Ars. Non fù leggiera offesa, e di sposo , e d’ Amante priuarla in un’ istante- Alf. Se d’ Ismeno la morte di Dorisbe a cangiare il cor non basta, uanne, amato Fileno, dilli, che uiue Ismeno. ( lice. Ars. da se. Se uiue lsmeno, io son meno infe- Signor, dunque d’ Ismeno in sicuro è la uita ? Alf. Si, Ars. Permetti a me dunque , che con Dorisbe in tuo fauor fanelli. Alf. Alf Purché meco si plachi, prega, prometti, ch’ io arbitro già ti fò dell' Amor mio. Ars, da se, Saprò ben’ io contro quest’ empio in seno fomentar di Dorisbe un rio ueleno. Signor’ in me t’ affida. Alf. Sopra di te riposo. Scena 3za. Eurillo, e detti. Eur. Ohimè, correte, la Padrona si muore. (to. Ars. Oh Dio ! Di tue finzioni è questo il frut- Vengo precipitando. Alf. Io ti seguo uolando. Ars. Nò, ferma Alfonso, che la tua uista ancora in tal cimento cagionar li potria maggior tormento. Alf. Ah non uoler-Ars. Non più, lascia, ch' io uada, ch’ allor, ch’ ella saprà, che uiue Ismeno, lo spirito smarrito li tornerà nel seno. Eur. Finitela mai più. Alf. Fileno, a te commetto (metto ogni mia gioia, ogni mio ben. Ars. Pro- ogn’ arte adoperar, da se. Ma per schernir- ti, Parte con Eur. Alf. Alf. Hà ne’ lumi il sol diuiso la beltà, che m’ inuaghì. Ma che prò, se dispietato ora uuole auuerso fato, che s’ eclissi quel bel lume, che beato potria farmi oggi cosi ? Ha ne' lumi &c. Scena 4ta. Irene fola. Ir.Dimmi, dimmi perche, crudelissimo Amore, trouar non posso à miei lunghi torment di Fileno nel cor qualche mercè ? Gigli eletti candidetti, che di latte auete il sen, la mia fé del uostro fiore al candore non uicn men. Gigli &c. E pur, Fileno, oh Dio ! . o non cura, ò non uede il dolor mio. Ma quà ne giunge Arsace. Vn tal inco, tro uoglio schiuar vuol partire. Sce- Scena 5ta. Arsace, Irene. Ars. FErma le piante, oh cara, amatissima Irene; cosi di chi t’ adora fuggi la uista ancora ? Son ferito, e tu sei quella maga, che in petto la piaga coi lumi m’ aprì - Adoro quel dardo, che figlio d’ un guardo patria risanare il cor, che ferì. Son ferito &c. Ir. Arsace, inuan tu tenti di suegliar nel mio cor nouello ardore, altra più bella fiamma m’ accese in petto Amore- Ars. Dunque uorrai, che disperato io mora ? Chiedo pietà Ir. Da me la chiedi in uano, ch’ io pur la chiedo, e non l’ ottengo ancora. Ars. E un fiero martire Ir. a 2. bramar di gioire, e non trouar pietà. Ars. Quel ben, che s’ adora, Ir. quel bel, ch’ innamora, Ars. se sprezza I' ardore, Ir. se Ichiuo è d’ Amore, C v 2. a 2. d’ un misero core Tiranno si fa. E un &c. Ars. Dunque, Irene adorata, pietà di me ti prenda. Ir. Dar non possio ciò, ch’ a me uien negato. Ars. Mi morrò disperato . I. Morrò di duolo anch’io. Ars. Irene a 2. Ah troppo dura lege addio. Ir. Arsace Ecco Dorisbe, e seco il mio Fileno ; miei lumi uagheggiate quel bel, che ui disprezzà, e pur l’ amate. Scena 6ca. Arsinda, Dorìsbe, Irene. Ars. SIgnora, udisti, Ismeno uiue, in tanto con nezzi, e con lusinghe alletterò d’ Irene il cor’ amante, acciò per opra sua s’ottenga almeno di parlar con Ismeno. Dor. Fido Fileno, oh quanto deuo al tuo amor ? Ars. Ma giusto Irene è in questo loco, lascia, eh’ io sia qui solo . ( Parte. Dor. Fileno, in te ripongo ogni mia speme Ars, Tutto oprerò per ben seruirti. Ir. Adesso da se che Dorisbe è partita a Fi- a Fileno m’ appresso. Ecco mia uita, una delusa, e moribonda amante al suobel sol dauante. Aquel sol-Ars. Taci Irene il tuo amor, la tua fe, la tua costanza già compresi a bastanza. cangio in amor lo sdegno, ti dò la mano in pegno (to? del mio sincerò cor. Ir. Oh Dio, che sen- Appena credo uero il mio contento. Non brama di più la salda mia fe di tanta dolcezza quest’ anima auuezza a sempre penar, capace non è. Non &c. l' abraccia. Oh bramate catene, oh cari nodi ! Ars. Odi, mio ben. D’ Ismeno bramo d’ aprirmi al carcere Ia uia per seco fauellar : se tu d’ Arsace seconderai gl' amori, il mio disegno aura felice effetto. A’ suoi uoleri inclina, pregalo di tal gràzzia, e questa sia della tua fè sincera la caparra primiera. Ir. Il genio ui contrasta. Ars. Preiiaglia l' amor mio. Ir. Dunque all’ impresa C2 per per amor tuo m' accingo , e fra pochi momenti l' effetto ne uedrai. Ars. Dei miei conteti Il’ Artefice tu sei. Ir. Per meglio amarti più d’ un cor uorrei Ars. Quanto sei cara, Irene. Ir. Quanto dolce sollieuo han le mie pene. Ars. Per te uiuo, oh mia uita, Ir. Per te moro, oh mio core . ( re. a 2. Sarà eterno, immortale il nostro Amo- „Ars. Ma uien Ruggiero. Irene, in te confido. ,,lr. Vedrai quando sa far un cor, ch’ è fido. Scena 7ma. D. Ferrante, & Ruggiero. D.Fer. Con memoriali in mano Sire, intendesti, Alfonso. le suppliche mirò, poi del reseritto non uolle egli la cura, ma subito m’ impose , che a te le riportassi dicendo, che di Napoli reggeua, non di Sicilia il Regno, e ch’ a te sol s aspetta usar tue grazie con chi n' è più degno. Rug. D’ Alfonso il Regio core ui è più m’ astringe ad un cordial’ amore. D. Fer. Perche dunque li neghi di Dorisbe le nozze ? Rug. Rug. Perche Dorisbe le recusa.D. Fer. Dunque opra da Padre, Rug. E come ? D. Fer. Se prima l’ esortasti, ora comanda. Taluolta il rigore bisogna anch’ usar, che spesso l' Amore inuita ad errar. Taluolta &c. Ne dee la figlia al Padre, che si mostra indulgente farsi disobbediente. Rug. Al tuo uoler m' appiglio. Qua ne uenga Dorisbe. Amor paterno renunzio alle tue leggi, abbia un giusto rigore la palma del mio core. Scena 8va. Dorìsbe, Ruggiero, D. Ferr. & Alfonso. Dor. Mio Re, mio Padre, a’ cenni tuoi m inchino, Rug. Figlia, disponti omai alle nozze d’ Alfonso. Dor. Ismeno adoro, e soll’ Ismeno io uoglio. Rug. Souuengati , che quello per amor tuo la libertade, il Regno cortese a noi donò. Dor. Tutto questo ben sò- Rug. Dunque a si degna fede rendi degna mercede. C3 Dor. Dor. Il giusto noi permette, non lo consente Amore . Alf. in dis parte. Opportuno qua giunsi Rug. operò da Padre. Dor. E che pereiò ? Rug. Il rigore userò Dor. La mòrte a un' infelice E’ piccol mal. Alf. Troppo è costante. D.Ferr. Al Padre. troppo ritrosa sei. Dor. Son giusti, oh D. Ferrante, i sensi miei. Rug. Saprò cangiar l’amore in ira, Dor.il seno squarciami ancor, che caro m’è il morir per Ismeno. Rug. Odi-Alf. fuori. Non più j Ruggiero il uostro affetto, Dorisbe, il tuo rigore già pur troppo compresi. Disponti ad esser mia. Dor. Pria della morte. parte. Alf. Crudel, non u’ è per me una stilla di pietà? Questo cor d’ amore acceso, se schernito, e uilipeso ogni gioia perderà, che farà? Crudel &c. „ Ma, femina crudel, saprò ben’ io ,, smorzar fuoco si rio. parte. Rug. Vdisti, D. Ferrante, di tu, se mai nel mondo fu fu donna nell’ Amor tanto costante ? Di quel sen, che tuo si fà tu sei tiranno, Amor. Non par la tua catena graue pena e pur la libertà smarrisce amando il cor. Di quel &c. D. Fer. Odi, Signor se Ismeno con Dorisbe sdegnato si dimostrasse un dì, chi sa, che quella non cambiasse fauella ? Rug. Ma chi potrà già mai somministrar materia a questo foco ? D. Fer. Sarà facile il modo. Rug. Ancor questo si tenti. D. Fer. Per far ciò , che tu brami nasceranno i portenti. Rug. Aun Padre suenturato, a un Re infelice. perche fra tante angustie di morir di dolore oggi non lice ? Scena 9na. Eurìllo & Drullo. Eur. Quest’ Amor che cosa sia non intende questo cor. Io per me non l’ho prouato, ma la credo un’ inuenzione C4 per per morirsi disperato, e per star’ in conclusione semper in rabbia, & in dolor. Questo' &c. Parlo per esperienza. Questa Corte, che prima era l' Albergo della gioia, e del riso, dopo che quest’ Amor uituperoso c' hà posto il piè, con strana mutazione ogni cosa è lamenti, e confusione. Ma uedo Drullo. Drullo ? Dimmi, sei tu mai stato innamorato? Drul, Guardimi il Ciclo. Amor non mi minchiona , faccia pur quanto può uaga beltà, ch’ io non mi uò giocar la libertà. Zerbinetti leggiadretti a uoi lemie ragioni io cederò. Con amor' io non uò taccoli, scherzerò, riderò, ( to nò. ma quanto a innamorarmi oh ques- Zerbinetti &c. Eur. Se così auessi fatto il tuo Padrone non sarebbe in prigione. Drul. Non sò, che mici far’, io liel' hò detto un milion di uolte; ma questa è la mia rabbia, che che gl' altri uanno a spasso , e lui stà in gabbia. Eur. Oh di questo poi Drullo, non dei marauigliarti. Son le delizie di chi serue in Corte . E la Corte una gran ruota, che fermezza in se non hà. Quel, che ieri era laggiù, oggi in alto ascenderà, e quel ch’ oggi stà lassù, in poc’ ore afflitto, e misero precipitosamente a cader uà. E la Corte &c. Così uà, così è , chi uuol patire senza speranza di goder giamai uada in Corre a seruire. Drul. Ancor’ io mel’ aspetto , se non ci uà il Padron prima di me della mia seruitù fida, e fincera d’andar per benemerito in galera. Eur. Ma quà uedo Fileno. Anche costni non esce mai di tasca alla Padrona. Questa gran confidenza, mi dà da sospettar. Drul. Ch' importa a te? Tu stai fresco, se pretendi di saper la uerità son le donne più di te sealtrite, e furbea fè, e i loro intrighi ritrouar chi sà ? Tu stai &c. Ma Fileno è già qui. Eur. Ariuederci. Drul. Addio. Scena 10ma. Arsinda, e Irene. Ars. CHi non sà, che si a dolore al mio core lo domandi, e lo saprà . Li dirà, che langue, e more per rigor di rea belta. Chi &c. Ma uiene Irene. Asecondar sue uoglie, pur che ad Ismeno a fauellar mi guidi, a finti amori, e uezzi nuouamente m' accingo. Ir. Adorato Fileno , al sen stringo. Ars. Dimmi,uedesti Arsace ? Ir. Lo ueddi, e il tutto oprai. Del carcere d’ Ismen quest’ è la chiaue. Prondila, e a tuo piacere con esso parlerai. Ars. Quanto ti deuo, Irene ? Ir. Più uòrria far per ben seruirti il core. Ars. Segno euidente d’un leale amore. Ir. Sarò sempre fedel. Ars. Da me l’ istesso ti prometti oh mia uita. Ir. Sicura del tuo Amor uiurò beata, par. Ars. Hò la gioia nel seno, son tutta consolata. Sce- Scena 11. Alfonso, & Arsace Alf FRa le palme, e fra gl’ Allori piange un Re la libertà, & il cor fra lacci auuinto chiede paee quando hà uinto a colei, ch a’ suoi dolori uinta ancor pietà non hà. Fra le &c. Numi, Amore, miei sensi, a un Re in felice, per domar’ il destino uoi suggente ciò ch' oprar più lice. Ars. Sol la morte d' Ismeno basta, oh gran Re, della perduta pace ad arricchirti il cor. Dunque l’ uccidi. Alf. Taci, che un Regio seno non dee sentir di tirannia l ardore, vanne, e di doppia spada prouuisto a me ritorna. Al carcere d’ Ismeno io uolgo il passo. Colà d’ oprar risoluo ciò che spirto d' onore m’ instillerà nel core . Al Carcere t’ attendo. parte. Ars. Io sarò pronto. Qualche graue ruma alla uita d’ Ismeno giustamente sdegnato Amor destina. or Or che benigna Irene gradisce l' amor mio, che di più per gioir bramar poss’io? Ti lascio, t’ abbandono, oh cara liberta. Ad amor tutto mi dono, sol quel bel, che mi ferì, e soaue il sen m’ aprì questo core adorerà. Ti lascio &c. Scena 12. Ismeno, & Alfonso. lsm. IO ui bacio, cari lacci, marche illustri di mia fè. Son benigne le mie pene, son soaui le catene, se per seguirti, Amor, le soffre il piu Io ui &c. Se Dorisbe è fedel, nò che non fia, ch’ io non u’ ami, e u’ adori, care amate ritorte, fa tù pur quanto puoi, sorte incostante, troppo e dolce il penar’ a un Cor’ amà Sol mi tormenta Ma che uedo ? Alfonso in questo loco? Oh Dio, temo di tue uicende, oh fato rio. Alf. Ismen, gia che finora per placar di Dorisbe il cor costante, offersi, supplicai, ma sempre in uano, ne ne ualser d’un Regnante le preghiere, i comandi d’ una femmina imbelle a raffrenar l' orgoglio , tentar nuoua fortuna adesso io uoglio. Tu ben sai , ch’ io potrei come mio prigioniero sanar col tuo morir la piaga mia. Ma perche giusto son, uò che la sorte de’ miei giusti uoleri arbitra sia. A singolar battaglia in questo loco io ti disfido, oh forte, e sotto il colpo dell’ auuersa spada Dorisbe perderà chi fia che cada. Ism. Sire, ne’ tuoi comandi della tua gran giustizia ammiro i pregi. E tua somma uirtude (que l’ usar con me tanta clemenza. Alf. Dun- Arsace olà ? Ars. Signore ? Alf. Le spada appresta. Prendi Ars. le pone m mezzo. quella, che più t’ aggrada . go. Ism. Io per me questa elego. Alf.lo questa strin- ad Ars. Tu di qua t’ allontana . Ars. Assisti, alato Nume, alla causa più giusta. parte. Alf. Per ottenerti, oh bella, lsm. a 2 generoso io pugnerò. Se uorrà sorte rubella, ch’ ch’ ai fato io ceda, almeno eontento morirò, Per &c. Alf. All’ opra dunque, lsm. Io son gia pronto a 2. All’ Armi. si battono. Scena 13. Arsinda, e detti. Ars. A Hi che uedo ? Fermate, gla trattiene Alf. Come quà ti portasti? Che chiedi? Ars. Per tua sorte quà uenni. lsm. E così sempre tenti impedir le mie fortune? Ars. Oh Dio da se. ch’ il timore mi toglie anehe gl accenti. Per parlar con Alfonso io qua ne uenni lsm. a 2. Deh lasciami morir. Alf. s' assaltano di nuouo. Ars. gli ferma Fermati, Alfonso, che Dorisbe è già tua. da se. D’ingannargli mi gioua. lsm. Come ? Alf. Sogno, ò son desto ? lsm. Il dolore m’ uccide . Alf. L' allegrezza m' avuiua. Ism. Se tu mi narri il uer, son disperato. Alf. Se tu non sei mendace, io son beato. Ma tu come lo sai? Ars. Molo disse Dorisbe. Alf Ismeno dunqu se Dorisbe è già mia cessin cessin fra noi legare. vado a goder, tu restati a regnare, parte. Ars. Seconderò l’ inganno, parte con Alf Ism. Qual fu giamai del mio più crudo affano? Sù sbranatemi, laceratemi. mostri d’ Alterno il sen, Le uostre ingiurie. amiche furie, di quella perfida m’ oftendon men. Sù &c. Scena 14. Ruggiero, D. Ferr. e detto. Rug. ECco Ismeno. Ma quale di rio dolor lo turba atra tempesta ? Ismeno, Ismeno - D.Ferr. Forse dalla sua prigionia nasce il suo duolo. Rug. Ismeno, il tuo dolore mi passa l’ Alma, c mi diuide il core. Penso però ben tosto sottrarti alle catene. Odi, Dorisbe ai tiezzi, d’ Alfonso alle lusinghe ancor non cede. Io, che pur lamia pace un di’ uorrei, e la tua libertade, per non mostrarmi ingrato d’Alfonso ai benefizi, a compiacer lo aspiro. Se degnato con Dorisbe ti fingi, ella, chi sà ? forse si piegherà. Ismeno, amato Ismeno , seconda i uoti miei, che forse un giorno potria con ral inganno far ia perduta quiete a noi ritorno. lsm. da se. Anche questo di più, stelle peruerse D Fer. A si trista nouella (louedo si com mosse non poco. Rug. da se. lo ben Ismeno, un cor uirile non cede a questi assalti: Ilmio diadema il erin ti cingerà; ma se la figlia ad Alfonso concedo, e a te priuarne inclino, mia la colpa non è, ma del destino, Ostinato il mio uolere contro il fato oprar non può. S'a' miei danni iniqua, e ria congiurò lasorte ria alle leggi sue seuere questo petto oppor non sò. Ostinato &c. lsm. Ruggiero, a un’ infelice con tai mentite larue inuan tu tenti d’ accrescere i tormenti. Se Dorisbe è d’ Alfonso, come’ pur troppo intesi, per perche, dimmi, perche ora quest’ arti usar tu vuoi con me ? Rug. Ismen t’ inganni. D. Fer. Erri gran Duct'. lsm. Ecome ? se Fileno poc’ anzi il tutto a me narrò? Rug. Mentì Fileno fe ciò ti disse. lsm. Ah mio signor, pietade abbi d’un cor, che dal suo duolo oppresso nemen crede a se stesso. parte. D. Fer. Il pensiero d’ Ismeno io ben cóprendo. Per non darti al progetto di fingersi sdegnato adequata risposta finse quanto narrò. Rug. Forse non erri. Ma intanto in tai uieende il mio dolore si fà sempre maggiore. parte. D.Fer. Giusti Dei,uoi che uedete del mio Re la lealtà, deh benigni soccorrete un Regnante appassionato , che per forza d’ empio fato nel mar di sue miserie a perir uà. Giusti &e. Fine dell' Atto secondo. D AT- A T T O III. Scena 1ma. Alfonso, & Arsinda, Alf. SE Dorisbe è già mia, se per sposo m’ accoglie a fauellar con lei dunque ch’ io uada reeusar non dei. Ars. E’ uer; ma ben conuien, ch’ iò di te prima a lei del tuo uenir l’ auuiso esprima. Alf Amor sprezza i rispetti. Non è già mia Dorisbe amante, e sposa? Scena 2da. Dorisbe, e detti. Dor. CHi di te amante, e sposa? Erri, se credi che per altri, che Ismeno, abbia Dorisbe, e fede, camere in seno. Art. da se. Ohime son morta . Dor. Son’ amante, e d’un sol foco è capace questo cor ; son costante, e prendo agioco, Dio bambino, il tuo rigor- Alf. E così dùnque , oh cara, di schernirmi tu godi? Disprezar un cor' amante, mio bel nume, è crudeltà ; mi mi sehernisci, e pur costante in amarti il cor sarà. Dor. Non ti schernij, ne schernirò già mai. Fu chiaro il mio parlare , dissi, che sempre Ismen fida adorai, l' istesso or ti confermo. Alf. MaFilen, se non erro, mentre poc’ anzi al Carcer con Ismeno’ stauo pugnando in singolar tenzone- Dor. da se. Oh Dio, questo di più? Alf. Mi disse pure, che cangiato desio gradiui l’ amor mio. (be Ars. da se. Ah me infelice ; almen' or' a Doris. potessi dir ch’ io finsi. Dor. Menti. Ma tu , Fileno, come a ciò t’ inoltrasti ? Ars. da se. Che dirò ? M’ incontrai, mentre ch’ Alfonso- Alf. Si, mentre ch io stauo pugnando con ismeno, c mi narrasti. Por. Che ? Ars. Ad amarlo eri pronta. Scena 3tia. Ruggiero, e detti, Rug. sente. Dunque non m’ ingannò , non fù menzogna ciò che disse Ismeno. Dor. Ma quando ciò già mai, dimmi, ti comandai? D2 Mia Ars. Mia signora- Alf. Non più (to tenti in uan di schernirmi. Hò già soffer- quanto soffrir potei. Ruggiero, ascolta, se della mia clemenza, Dorisbe abusa ancor, forse sarà, eh’ io cangi la clemenza in crudeltà. Seruiti dell’ auuiso. parte. Rug. Figlia, per te infelice fin qui sono a bastanza: ad Alfonfo m’è noto, ! che promettesti Amor, dunque t’ accingi adamarlo. E tuo sposo, alsen lo stringi. parte. Dor. Vi son, ui sono in Ciel più fulmini più turbini, tiranne Deità , contro di me? Che mi gioua l’ innocenza, se la uostra gran potenza uer me implacabile, inesorabile oggi si fè. Vi son &c. Ma tu, Fileno indegno, traditore , fomenti il mio dolore. fi, si, eontro di te - Ars. Ferma, signora, del tuo giusto rigor l' impeto ardente. da se. Mi scoprirò per minor male. Arsida di Castro Prencipessa il piè ti bacia. s’inginocchia, Dor. Dor. Ahi che uedo, che ascolto ? Ars. Quella son’ io, che dal rigor d' Alfonso fui schernita, c delusa ; onde per uendicar dell’ Amor mio la troppo graue ingiuria sotto mentite spoglie in questa Corte per impedir ne uenni di quest infido i barbari disegni. Tu, se di ciò, ch’ oprai contempli la cagione, sò, che dirai, che ben capace io sono di benigno perdono. Dor. Alzateui, Signora. Il uostro caso molto m’ affligge; intanto sperate, che Dorisbe al uostro giusto fine non è per contrastar. Ma perche prima non palesaste l' esser uostro? Ars. Vn. giusto timor mel’ impedì. Dor. Questo da uoi ora sia lungi, e pur che quest’ indegno dell’ error suo s accorga , adopretò i disprezzi, e uoi l' ingegno. Ars. Quanto ui deuo , Amica . Dor. Ma, ditemi, quai furo d’ Ismeno i sentimenti, allor che per infida egli m’ apprese? Ars. Nol sò, che in quell' istante d’ Alfonso, che partiua D3 io io seguttai le piante. Dor. Vorrei pur col mio bene giustificar me stessa. Ars. La chiaue, che mi die poc’ anzi Irene mi scortcrà a scruirui. Dor. A uoi commetto dell’ innocenza mia l' alta difesa. parte. Ars. Sarò di fuoco per si grane impresa. Speranza dolce , e cara ti sento nel mio sen. Si speri, forse un dì colui, che mi tradì, l’ error conoscerà riportcràal mio cor un di seren. Speranza &c. Scena 4ta. Drullo, Eurillo , & Irene, Drul. MAledetto sia il seruire, e colui, che lo trouò. Oggi giorno ogni Padrone perdut’ ha’ la discrezione, e per noi, lo uò pur dire, la pace casa l’Diauol sen' andò. Maledetto &c. Io non in tendo, come da poi ch' egl’ è in prigione , sia fatto si bestiale il mio Padrone. Sempre guai, sempre rabbie, or or la uuol con iì Cielo, or con la terra. In questo Eur. & Ir. àrriuano , e sentono. si lamenta d’ Alfonso. ( mazza con Dorisbe s adira , con Fileno schia- Eur. da se. Con Dorisbe e che sarà? Ir. da se. Con Fileno e perche? Drul. Insomma uuol squartare, scorticare, ognun precipitare . Deh fortuna, alrnen fallo un di satollo, fallo tanto salcar, ch’ e rompa il collo. uuol partire. ato? Eur. Drullo, che fai? Ir. Perche tanto arrabi- Drul. Ora si ch’ io c’ ho dato Eur. Che hai ? Ir. Che c’ e ? Drul. Niente. Eur. E perche tanta collera ? Ir. E perche tanta rabbia ? (abbia Drul. L' auerui qui d’ intorno è il peggio ch’ Eur. Che diceui poi anzi? Ir. Di che parlaui or’ ora ? Drul. Di nulla, Ir. E pur t’ intesi di Fileno parlare. Eur. E di Dorisbe ancora hai pur parlato. Drul. Voi m’ auete ammazzato. Tiratemi, feritemi, eccoui il petto, e il sen, Son nelle uostre mani, crudelissimi cani, D4 ti- tirate, ch' io son morto, ò pocomé Eur. Ma intanto non uuoi dir quel ch’ abbia Ismeno con Dorisbe. Ir. E Fileno, Drul. Don Dorisbe, e Fileno egl’ è adirato, perche l’han minchionato. Eur. jr. a 2- E non altro? Drul. Non altro. Orsù m’inuio a ricercar’ Alfonso, se ui piace, addio, gente da ben, restate in pace parte . Eur. Signora, uoi uedete, quest’ Amor traditore studia per tribolarci a tutte l’ore . Però se con costui uoi u’ impacciate, guardate quelche fate. Belle donne imparate da me a burlarui del nume d’ Amor. Dibatta pur l' ali, auuenti pur strali, che di uincermi modo non u’ è, ch’ a’ suoi strali ho di perfido il co Belle &c. parte. Ir. Ah così potess’ io liberar l’ alma dall' incendio mio. Nò, che non posso togliere da lacci di’ Cupido l’innamorato piè. Ten- Tento inuano il nodo sciogliere, troppo uago, troppo fido, mio bel nume, Amor ti fè. Nò che &c. Scena 5ta. Arsace, e detta. Ars da se. DAmor fra se fauella- Qual' è, qual’ è, mia bella l' auuenturato oggetto, che fra i lacci d’ Amor cosi t’ auinse? Ir. Tu sol dei mio gioir sei la cagione. da se. Pur ch’ io serua a Fileno, dica la lingua ciò che nega il core. Ars. Dunque più non mi sprezzi? Ir. Cangiai gli sdegni in uczzi. Ars. Sarai sempre così? Ir. Forse ne temi? Ars. Nò, ch’ il bel del tuo uolto Mi fa sperar, ch’ a mio fàuor non meno Alma bella, e fedel ti urua in seno. Vagheggiar tuo uolto amabile Senz’ ardor e un’ impossibile Fatto è il cor’ nouello Dedalo de’ tuoi Lumi al raggio lucido, e in mirar caduco, e labile, ch’ ei non mora è un’ incredibile . Vagheggiar. Ir. Cosi soaui accenti m’ m’incatenano l’ Alma, riportan nel mio sen l’ antica calma. Ruscelletto, garruletto, che fra sponde di smeraldo baci i fiori, e l’ erbe ingemmi, col tuo dolce mormorio deh racconta all’ idol mio l' alto ardor, ch’ io porto in petto. Ruscelletto &c. ,, Ars. Se stai constante, ogni mia gioia èspeta. „ Ir. Se l’ Idol mio m’ e fido, io son contenta. „ Ars. Non bramo di più , „ Ir. a 2. mi basta così, ,, fra tutti gl’ amanti „ più fidi, e costanti ,, di me non s udì, „ più lieto non fù. Nor. &c. Scena 6ta. Ismeno, che scriue, Arsinda, e poi Alfonso Ars. Ecco Ismeno. A Dorisbe con fedeIta si serua . Ismeno. lsm. Ah temerario, ah traditor’, e dopo si grani ingiurie , e tante osi di comparirmi ancor d’ auante ? Parti, fellon. Ars, T’inganni- lsm. Ancor fauelli ? Con- Con la pace, ch' a me tu portasti uanne barbaro, perfido uà. sian l’ ingiurie, che a me preparasti la mercede di tua crudeltà. Con la &c. Ars. Ascolta almen-lsm. Non più. Dagl’ occhi miei t’ inuola Alf. esce Contro costui perche tanto rigore? lsm. Ei mi fù traditore . Alf. E tu come , perche t' aggiri in questo loco? Ars. Per ben seruirti adoperai l' inganno: Alf passa dal tauolino, doue scriueua Ismeno, uade una lettera, e la legge, lsm. Ahime la carta ei uide . L* ira m’ assale, & il rimor m’ uccide. Alf. da se. Or da me si comprende perche contro Fileno Ismen contende. Ei scriueua a Dorisbe con sensi di tradito, e offeso Amante, e perche costui forse d’ impedirlo hà preteso dàl zelo suo s è giudicato offeso. Dunque Fileno è fido. Ad lsm. E tu per anco pensi a Dorisbe, e non t’ accorgi ancora, che s ell' è ia mio potere, cederla a me tu dei, e soggettar tue uoglie ai uolcr miei? Ism. Ism. Ah che pur troppo il petto al rigor del suo fato crudelmente è soggetto. Signor, di tue fortune non dubitar, ch’ io non trattengo il corso ma dal suo gran dolore non può non risentirsi offesso il core. „ Sdegno chiuso in petto amante „ è un’ incendio in mezzo alcore, ,, ch’ indi acceso, e diuam pante „ forz’ è ben, che scoppi ancor. „ Sdegno &c, Alf. Ma di, per qual cagione quà mi chiamasti ? Ism. Solo per ottener dalla tua gran pietade, giache perdei Dorisbe, ò morte , ò libertade. Ars. da se. L' un’ e l’ altra a me graue ugualmente saria. Alf. Odi, di queste due quella ti toccherà, che Dorisbe uotrà. Meco uienij ò Fileno. parte. Ars. Obedisco, signore. parte. Ism. Dunque di queste due quella mi toccherà, che Dorisbe uorrà? Dunque questa crudel non sazia ancora per colmar sua perfìdia pro- procura ancor, ch’ io mora? Armati pur crudel contro d’un cor fedel di sdegno, e di rigor. Saprà resistere a tante ingiurie il petto, e uincere delle tue furie il barbaro furor. Armati &c. parte. Scena 7ma. Ruggiero, e D. Ferrante. Rug. VDisti, D. Ferrante. Allor che disse, che Dorisbe ad Alfonso giurata auea le fede, era ucrace Ismeno. D.Fer. E perche dunque or nega, ciò che auima promise? Rug. Vn cor così uolubile, e incostante non uidi per drante, e s Alfonso si sdegna tempo ha ben ragion. D. Fer. Signor, non e piu d’ usar con lei pietà, se perdoni al castigo, costei la tua rouina un di sarà. Ai rigori omai t’ auuezza, e pietà non auer più, che con chi ragion disprezza l’ esser rigido è uirtu. Ai rigori &c. Rug, Risoluo di tentar l' ultime proue. il Ciel, che mie miserie, e soffre, e uede uoglia almeno, che gione. Non spera riposo l' afflitto mio cor , il fato seuero, che legge non hà, mi fè prigioniero di sua crudeltà, ne spero pietoso mai farne il figor. Non &c. D.Fer. Signor, giunge Dorisbe. Adesso è tépo, perch' in lei tat’ orgoglio ornai si smorze d' usar l’ultime forze . Scena 8 va. Dorisbe, e detti. Dor. PAdre, spero, ch’ ormai dell' innocenza mia giustisicato, ui sarete placato. Rug. Erri, Figlia proterua ; e quanto più da me di tue follie s intende , tanto più nel mio sen l' ira s’ accende. Ad Alfonso ora attendi ciò che li promottesti, e questa sia per te la prona estrema della paterna sofferenza mia. Dor. Padre, fusti ingannato- Rug. Rug. Non più se m’ ingannasti, inganno certo non fù ciò ch' a me Ismeno poc’ auanti narrò. Dor, Fù questo ancora un’ ingano, oh fignor. Alf. Taci & intedi ciò ch' a ragion sdegnato d’ oprare hò destinato. Se d’ Alfonso in poc’ ore sposa non ti uedrò, tu mia figlia non più, non più tuo Padre, manemico crudel io ben sarò. parte con. D. Fer. Dor. Padre, Padre - Ah infelice, e perche dal mio fato di morirmi d’ affanno or non m' è dato ? Miei lumi uersate di pianto un torrente. Quest’ Alma dolente non può più sperare, s’ ancor di trouare nel Padre li è tolto soccorso, e pietà. E come potrà più reggersi in uita, se pace , & aita dal Padre non hà? Scena 9na. Alfonso, e poi Arsinda. Afl. DI quella pace intraceia, che sotto Regio tetto ne- nega d’ auer dentro al mio cor rice, to, a uoi ne uengo, oh care, ombre amiche, e beate, in uoi confido ritrouar quel riposo, che uicino al mio ben sperar non oso. Siede cparla col ritratto di Dor. Deh cosi potess’ io fauellar con colei, che si m’ offende, come con uoi fauello, adorate sembianze, che se sete insensate con ingiurie, e disprezzi almen come colei non m’ oltraggiate. Vi bacio sì u’ adoro, sembianze del mio ben. Bench’ offeso , uilipeso , porto in petto il foco acceso dal fulgor di que bei rai, che uedendo aneor ch’ io moro il suo fiero tenor non cangian mai. S' addormenta col ritratto in mano. Ars. Che miro ? E questi Alfonso da graue sonno oppresso. Perfido, traditore, uedi com' ora m’ offre amica sorte il mio tradito Amore campo di uendicar con la tua morte. Manò, uiui Tiranno per tuo maggior affanno . Ma Ma che uedo ? L’ effigie di Dorisbe è pur questa . Per schernir’ il fellone benigno Amor m’ appresta una nuoua inuenzione. Cambia il ritratto. Da questa mano inuolo di Dorisbe il ritratto, & in uece di quello il mio ci adatto. D’ ingannarti mi piace così, menzognero, crudel, traditor. Mi schernisti, mi tradisti, soffri dunque, e di te lagnati per uendicarmi undi s’ io ti schernisco ancor. D’ingannarti &c. Ma si risueglia Alfonso. Amor cortese seconda il mio desire, e fa, che quest’ ingrato conosca l’ error suo, sia mcn spietato. parte. Alf, S' alza. Ah ch’ a un cor infelice ancora in grembo al sonno breue tregua al suo duol sperar non lice. Questo cor uso a penare spera inuan, se pace spera, che la quiete ,& il riposo fatto a lui non mcn penoso E con con sue larue ancor li dice, che giamai patrà domare il rigor di quell’ altera. Questo &c. guarda il ritratto. Si, tù d’ ogni mio ben — Ma, oh Dio , che uedo ? Chi mi schernì? l’ imagine d’ Arsinda da me già un tempo amata, di quella di Dorisbe in uece come uenne nelle mie mani? Ah ben m’ accorgo ch' anch’ estinta costei uuol, ch’ in me uiua la memoria eterna di sua tradita fe, de’ falli mici. Errai, ben lo confesso; ma s’ Arsinda è già morta, più di me non si cura, e forse uolse nell’ amor di Dorisbe di troppo uil tacciarmi. Ombra adorata, seconderò tue brame, Tiranno mi farò. Dunque dell’ empia, se piu mie uoglie a secondar dimora , mòra l’ amante, e mora il Padre ancora. Scena 10. Drullo , & Eurillo. Drul. con una fiasca diumo. Vino, vino traditore, mel’ hai sonat’ a fe. le gambe tremano, il il capo girami, la lingua fà' te- te -. Vino &c. Ma già ch’ il mal’ è fatto , e non e’ è più rimedio , beuiamo un’ altropò. beue. In somma questo bere e una bella delizia, è un gran piacere. Guardate, guardate, Medusa fra le stelle, oh che spropositi. Il sol mi guarda , oh tò . Guarda, guarda, minchione, son più bello di te quel che stà bene. Eur. Drullo? Drul. Guardami bene. (uè Eur. Oh questo si l’ ha presa. Drullo? Dru. oh anche la luna fà all’ amor con me. (teue- Voglio osseruarla un po col canocchiale Eur. Li leua la fiasea dalla bocca. Finiscila, Animale. Drul. Ci mancaua a tentarmi Ganimede . Fratei, uanne con Dio , di più sublime sfera è l’ Amot mio . Eur. Drullo non mi conosci ? Drul. Ti conosco ben bene, ma di te non mi curo. Eur. Chi son' io ? Drul. Tu - tu - sei il Coppiero di Gioue. Eur. Poueretto, l’ ha' beuuto schietto schietto, e poi li hà fatto male. E2 Alza Alza in su, e il uin uà in giù, dolce par, ma chi lo beue diuenta presto presto un’ animale. Poueretto &c. E non conosci Eurillo? Drul. Eurillo? oh che t’ arrabbi, t’ hò cercato tre ore, alla mia innamorata uoglio, che noi facciam la serenata . Eur. Chi è costei, ch’ adori? Drul. La lu luna- ma pria bisogna bere. Eur. Oh questo nò Drul. Afe, che tu barai, L' abbraccia. Enr. Fermati, ch’ io berò. da se. Farò léuiste per secondar l’ umore. Drul. E’ egli buono? Eur. Sicuro. Drul. Anch’ io uò ber’ un poco, beue ora cantiamo. Eur. E che direm? Drul. Dirai quelche die’ io. Eur. a 2. Bella Dea, ch’ il mondo illumini Drul, Lascia il Cielo, e uieni a me. Questo core innamorato, se tu tardi, è disperato, se tu uien, uedrai, che Drullo nouello Endimion sarà con te. Bella &c. Drul. Non si può fardi più. Tu Tu ca - canti pur bene . Cantiamo un’ altro poco. Eur. ohibò ? Drul. Perche ? (ben qui. Eur. Voglio, che cen andiamo. Drul. Io stò Eur. Hò compassion di lui. Guarda, la luna ci chiama a se, corriamo. Drul. Corriam, ch’ è uero afe. cade. Eur. Vuoi far il brauo, e non ti reggi in piè. Alzati, presto. Drul. Adesso Ohime, ch’ hò rotte l' ossa. Eur. Lo seguo, acciò non cada in qualche fossa. partono. Scena 11. Irene, Arsinda. Ir. LOntan da chi s’ ama gioir’ il cor non sà, son secoli i momenti insipidi i contenti, se il ben, che si brama, presente ognor non s’ hà. Lontan &c. Oue sei, mio Fileno, oue t’ ascondi ? Ti cerco, e non ti trouo , ti chiamo, e non rispondi. Ma quà giunge il mio bene . Ars. Allor che l’ empio l’ effigie mia mirò, quai saran stati del core i sentimenti, della lingua gl’ accenti? Eue Questo torno a Dorisbe - Ir. da se. Parla con un ritratto. Ars. Che di questo mio fatto gran gioia sentirà. Ir. da se. Lo guarda ancor. S’ascolti. Che dirà? Ars. E pur uaga Dorisbe. E chi potria mirarla , e non amar ? Ir. da se. Dunque Dorisbe. ama costui ? son morta. Ars. A Dorisbe fi uada. Ir. Arresta il passo. da se. Simulerò lo sdegno. Equal ti chia- affar di tanta fretta? (ma, Scena 12 Dorisbe, e detti. Dor. ad Ars. Purti ritrouo. Irene uanne, sola uo par lar con Fileno, (dita, Ir. da se. Questo di più? Infelice, io son trama mi uendi cherò. parte. Dor. Sono impaziente di saper cio, ch’ auoi rispose Ismeno. Ars. Signora, allor ch’ io uolsi con Ismeno spiegare i sensi miei, la giunse Alfonso, & io, fauellar non potei. Dor. Se dunque appresso Ismeno - Scena 13. Ruggiero, e detti. Rug. ANcor d’ Ismen tu parli? Ancor d’ Alfonso (alle alle nozze non pensi? Ars. a Dor. Costanza, oh mia signora, Rug. E non rispondi ancora ? Dor. Padre amato, il cor ti moua d’una figlia il lacrimar. Dammi morte, e mi tormenta, son contenta. ma dell’ amato ben non mi priuar. Padre &c. Signor non t’ irritar . Scena 14. Alfonso, e detti. Alf. da se. Ecco Dorisbe, or’ è tempo, oh mio core, d’ usar con quest’ ingrata il tuo rigore. a Dor. Dorisbe, omai t’ appiglia aciò, che men t’ offende, ò sposa a me sarai, ò eh’ il Padre, e l’ amante caderti auanti estinto or’ or uedrai. Ars. da se. Nuouo timor m’ assale. Dor. Signor, son' io la rea, tu di questi innocenti alla uita perdona, a me s’ aspetta le saette incontrar di tua uendetta. Iot’ offesi , io t’ offendo, se pur può dirsi offesa a chi s’ adora fede osseruar ne’ gran perigli ancora. Alf- Alf. Non più, se il lampo sprezzi il fulmin prouerai. Furie assisteremi nel cor ponetemi atro uelen . Amo di spargere di sangue il suol, gia che di frangere non mi sorti di questa cruda il sen. Furie &c. parte. Rug. Ah figlia indegna, ah dispietata figlia uolesti il mio morir, godi ch’ ormai il mio morir aurai. parte. Dor. Ahime chi porge a iuto in tant’ affanni a una Donna innocente? Chiedo soccorso al Cielo, e il Cìel non sente . Se negate a me pietà, oh tiranne Deità, le furie dell’ abisso io pregherò. Diuoratemi, Subissatemi mostri deil’ Erebo, forse fra uoi men misera farò . Se negate &c. parte. Ars. Perduta e la speranza. Amor sarai contento, sol' il morir per tua cagion m’ auanza. Vieni, oh morte, e in questo seno sfo- sfoga amica il tuo furor, se perduta è ogni mia spene puoi tu sola alle mie pene darrimedio, e far che meno mi tormenti il mio dolor. Vieni &c. parte. Scena 15. Irene, & Alfonso. Ah Fileno inumano, perche spietato,insano, tradir chi t’ adorò ? schernita, uilipesa e che farò ? Grida Amor sdegno e uendetta contro il barbaro traditor, Sarà la uoce il turbine, sarà la lingua il fulmine, ch’ alla mia fè negletta appresterà, fomenterà il rigor. Grida &c. Ma giunge a punto Alfonso,a lui si scopra la sua, l’ offesa mia, egli di se, di me uindice sia. Per atterrir Dorisbe, feci al Padre, ad Ismeno ordinar ch’ a me uenga, a lei dauante morte gl’ intimerò. L’empia a tal nuoua dimmi, Amor, che farà? spero, che cederà. Ir, Sire, gran cose deuo deuo a te palesar. Tradito sei. (Dei? Fileno è il traditor. Alf. Che sento, oh narrami il tutto, ir. Egli Dorisbe adora. Io del nouello amor m’ accorsi or’ ora. Alf. Non può crederlo il cor. Tu com’ il sai? Ir. Col ritratto di quella fauellando d’ Amor lo ritrouai. Alf E non menti ? Ir. Son certi gl’ oltraggi tuoi, signor. Alf. Ma qua ne giunge con Fileno Dorisbe, in questo loco m’ occulterò per discoprir Pinganno. Ir. Anch' io m' ascondo. da se. Il fio ne pagherai, Tiranno. Scena ultima. Dorisbe, Arsinda, detti in disparte, e poi Tutti. Dor. DVnque eh’ Ismeno mora? cora? dourò soffrire, e con lui il Padre an- ahi che troppo seuero è il mio rigore, s' ancor d’ imperuersar non teme, oh Dio contro del Genitore. Ars. Signora, fra le fiamme l' ore fi perfeziona, e tu costante, se per Ismen non sei, il pregio perderai di uera amante. Alf da se. Ah traditor. Dor. Ma poi crudel mi chiameran. Ars. Crudel non meno, sarai sarai sesprezzi Ismeno. Alf. da se. Più non posso soffrir. Mori,fellone. Impugna uno stile, e ua per uccidere Ars. Ir. Aiuto. Vengono tutti. Dor. Salua Ars. dal colpo. Ferma. Ancora, crudei, sazio non sei ? Alf. fyli tradisce costui. Dor. Menti, spergiuro Rug. Infelice, che uedo ? lsm. Ahime, che séto? Alf. Eidi te amante a sprezzarmi t’ esorta. Ars. Erri, tiranno. Mira questo mio uolto, e scorgerai, che tu sei tradiror, io non errai. Quell’a torto schernita , quell’ Arsinda son’ io, che si uilmente potesti abbandonar, quella ch’ in corte di Dorisbe ne uenni, per impedir del tuo malnato amore lo spietato furore. (gi ; Or stringi il ferro, e nel mio sen l’ immer pur troppo il Cielo offesi, allor ch’ un traditor d’ amar pretesi. Alf. Sogno, ò deliro? Io ti credei già estinta. Ars. A tuo malgrado io uiuo, e quel ritratto, che ti cambiai , mentre dal sonno oppresso nel giardin ti trouai, ch’ Arsinda ancor uiuea dimostrar ti douea. ( uezza. Ism. da se . Mio cor, respira, & a sperar t’ au Rug. Rug. da se. Quest’ è il di de’ portenti. Ir. E se Fileno è donna . son finiti per me d’Amor gli stenti. Dor. Ora di, che ti sembra di me, d’ Arsinda, di te stesso ? Dunque così la fede osserui a chi t’ adora ? Dillo, del fallo tuo t’ accorgi ancora? jilf Or conosco , eh’ errai, e contro il giusto, e contro amor peccai. All’ emenda m’ accingo. Ismeno è tua Dorisbe, io d’ Arsinda sarò. Si strani euenti, fabri saran de’tuoi, de’ miei contenti. Ruggiero, intanto a te perdono io chieggio di ciò, ch’ oprai finora, e s’ oprai per amor, sperar lo deggio. Rug. A bastanza, oh gran Re, finor godei di tua pietà gl’ effetti, ne meco tai discolpe usar tu dei. Alf. Gcnerosa Dorisbe, oh quanto deuo al tuo rigor, s’ omai questo mi rende il ben, che sì bramai. Dor. Alfonso, apprendi, e questo sol mi basta, che giust’ è amor, ch’ il Cielo a noi soli urasta. Ars. Mira, come con bella, e strana sorte per torr’ il core agl’ amorosi affanni, mi giouaron gl’ inganni- Alf- Alf L’inganno tuo per me fu fortunato, se rendendomi te fammi beato. Ism. da la mano a Dor. & Alf. ad Arsinda. Ism. Dor. a 4. Dopo tante auuerse sorti Alf. pur ti stringo a questo sen. Ars. Dor. La costanza dei mio cor, Ism. La fermezza del mio Amor, Dor. a 2. disprezzo ruine, e morti, Ism. d’ Astri infidi al rigor non uenneme Ars. se fu offesa Ia mia fe, Alf. se te estinra rl cor crede Ars. Ricompensa a tanti torti a 2. Alf. sia l’ onor di goderti, amato ben, a 4. Dopo &c. Ars. da Dor. Signora, Irene amai. De’ suoi sponsali chiedo l’ onor. Dor. E giusto. Irene porgi ad Arsace la destra. Ir. Or che Fileno con strana mutazione donna diuenne, ad in contrar tue uoglie uolentieri mi uolgo. Io son tua meglie. Ars. Amor quanto son cari i tuoi tor a2. menti Ir. se dopo breue affanno proua beato il cor tanti contenti. Drul, Senti, Euril, s’ anch’ a te desse il cor di passare , com’ ha fatto Fileno , sotto l’ Arco baleno, (mo, uorrei ben, oh’ anco noi la concludessi -e per marito, e moglie ci prendessimo. Eur. Guardate figurin da prender moglie. Bisognerebbe bene, che’ io n’ auessi appetito . so ch’ auerei trouato il mio marito. Alf Orsu tempo fia omai dagl’ amorosi affanni di passare ai contenti, e il mondo in questo di da’ nostri euenti ha compreso a bastanza Tutti Ch’ in Amor per goder ci uuol Costanza. Fine del Dramma. VARSAVIAE Typis Collegij Scholarum Piarum. Anno Dni. 1691.