Per goder in Amor
ci uuol Costanza
Dramma per Musica
CONSECRATO
all' Alt: Reali
di
GIACOMO
Regio Prencipe
di
Polonia, 
&
EDVIGA
ELISABETTA
Prencipessa di Neoburgo.
In occasione dlle Reali Nozze
celebrate in Varsauia.
Di Gio: Battista Lampugnanj
Fiorentino.
SER. REALI ALTEZZE.
AVerei creduto di mancare al profondo
umilmo : rispetto, con cui
uenero i gran Nomi dll' AA.VV.
RR., se mentre con Festosi applausi sa.
Eco alle glorie de’ Vostri Regij Sponsali
questo nobilissimo Regno, auessi io tralasciato
di promulgare in qualche piccola
parte il giubbilo , & il contento, che ne
ha prouato I’ animo mio cosi parzialmente
deuoto alla Vostra Augusta Grandezza.
Per minimo indizio dicio deue
seruire all’ AA. VV. RR. Io scarso tributo ,
che ora gli fo, di questo mio
Dramma, gl' infiniti difetti dei quale non
poteuano esser’ altrimcnti resarciti, che
com parendo alla Luce sotto i gloriosi
auspicij della Vostra potentissima Protezione.
Supplico L’ AA. VV. RR. ad
ono-
onorare d' un generoso gradimento,
non Pofferta, che non e per alcuna sua
parte di cio meriteuole , mabensi I’ ossequioso
rispetto dell’ animo mio, che
nell’ esibirla non ha desiderata altra gloria,
che quella di farmi conoscere, quale
con umilissima rassegnazione mi 
dimostrero fino all’ ultimo spirito
Delle VV. RR. AA.
Varsauia 20. Marzo 1691.
mo mo mo
Vmii. Deu., & Osseq: seruo
Gio; Battista Lampugnani.
Cortese Lettore.
ARrossisco di presentarti Ia mia
prima composizione in questo genere
cosi informe, e puo dirsi, piu abbozzata,
che perfetta. Questo Dramma
fu da me incominciato con ogn altra intenzione,
che di farlo pubblico con le stampe,
ma solo per complacere agl Amici, che mene
pregauano, si perche le mie piu graui
occupazioni non poteuano darmi tanto
tempo da far cosa di miglior gusto, si perche
il termine di tre sole settimane, neIle
quali m’ e conuenuto darlo finito all’ Autore
della Musica, era troppo angusto per
il buon' esito d' un' impresa, che per esser
la prima , non e gran fatto, che mi sembrasse
assai difficile. Tuttauia essendo poi
stato costretto a far questo passo dai comandi
autoreuoli di chi dispone d' ogni mio uolere,
deui piu tosto, che censurarmi, usar
compassione a me, che ben conosco i gran
difetti, che in quest' opera si contengono,
A3		e sono
e sono affatto priuo di tempo per nmediarui.
Auuerti, che tutti i uersi, che trouerai 
notati con questo segno,, e conuenuto
lasciargli nella Musica , per seruire alla
breuita, o pur mutargli per meglio
accomodarsi al senso dei discorso.
Le Voci Dio, Deita, Fato, Destino, e
simili, che sparse in uarij luogli trouerai,
non son poste per altro, che per seruire
alle Leggi della Poesia, non intendendo io
di derogar punto con esse alla professione,
che fo di buono, e costante Figlio della
S. Romana Chiesa. viui felici.
Argo-
Argomento.
Alfonso Re di Napoli dopo auer
amata, e data fede di sposo ad Arsinda
Prencipessa di Castro, fermatosi
per occasione di uiaggto priuatamente
in Messina, s' inuaghisce di Dorisbe figlia
unica di Ruggiero Re di Sicilia. Ritornato
Alfonso a Napoli, risolue di far chie
dere a Ruggiero le nozze di Dorisbe. Arsinda 
sentendosi schernita, in abito uirile
sene ua a Messina, e s' introduce contitolo
di Segretario nella Corte della Prencipessa
Dorishe, non per altro fine, che per impedire
il matrimonio di essa con Alfonso, il
quale crede Arsinda morta, non consapeuole
della di lei fuga. Ruggiero auendo
risoluto di maritar Dorisbe con il Prencipe
Ismeno suo Generale, anchesecocol uincolo
di parentela congiunto, e da Dorisbe
teneramente amato, per stabilire in uno
del suo sangue la successione del Regno da
re-
repulsa alle richieste d' Alfonso: Questo
irritato si dispone a tentar con la forza il
conseguimento di Dorisbe , che pero unita
una poderosa Armata nauale , pon l' assedio
a Messina, dal qual fatto si da 
principio al Dramma.
Interlocutori.
Ruggiero Re di Sicilia.
Dorisbe sua Figlia Amante d’
Ismeno Prencipe, e Generale dell' 
Armidi Sicilia,
Arsinda prencipessa di Castro in abito d’
uomo, sotto nome di Fileno, Amante d’
Alfonso Re di Napoli Amante di Dorisbe
Irene Dama di Dorisbe, Amante d’ Arsinda
creduta Fileno.
Arsace Capitano delle Guardie d’ Alfonso
Amante d’ Irene.
Don Ferrante Consigliero dei Re di Sicilia.
Drullo serno d’ Ismeno.
Eurillo Paggic di Dorisbe.
La Scena si rappresenta in Messina.
Autore della Musica fu il Sigr. Viuiano
Augustini Musico della Regia Cappella.
AT.
ATTO I
Scena ima.
Ruggiero, Dorisbe, e lsmcno.
Rug. VDiste Alfonso omai
Freme d’ ira, e domate
di Sicilia le forze, a queste mura
I’ ultimo eccidio di recar procura-
Amor li armo la mano,
 Amor di possederti, amata Figlia.
lo, ch’ al tuo caro Ismeno
Bramo uederti unita
disprezzo Regno, e vita;
la rouina e sicura,
euidente il periglio.
Gencrosa Dorisbe, Ismeno inuitto,
da te chiede consiglio,
da te soccorso chiama,
un padre, che t’ adora, un Re, che t' ama.
Scena 2da.
D. Perrante, e detti:
D. Ferr. Sire, dal Campo ostiie
per graue urgentc affare
d’ ordine del suo Re qua giunge Arsace.
Rug. Temo di nuoui insulti alia mia pace.
Dor. Coraggio, oh Genitor, ism. mio Re,
costanza,	Rug.
Der. Venga. da se. Aneor non son misero a
bastanza.
Dor. S’atmi pur d’ ira, e furor
Contro me l' alato Dio,
Che sapro domar ben io
Di quel barbaro il rigor.
Ne la mia dolce fiamma ,
mio Bene, amato Ismeno,
ad onta dei destin mai uerra meno.
Scena 3za.
Arsaee, D. Ferrante, e detti;
Ars. Signor, qual piu t’ aggrada,
O di guerra, odi pace
Nunzio son’ io. Gia’ Aifonso e risoluto.
se di Dorisbe a lui non uien negato
il possesso bramato,
amico il prouerai ;
se persister uorrai
nell’ usata repulsa, egli destina
con la forza, e con l' armi
d’ occupar cio, ch’ agl’ amorosi preghi
ostinato tu neghi.
A risoluerti intanto
di due sol' ore il termine preseriue:
percio prima ch’ arriue
sui tuo capo, e de’ tuoi tanta rouina,
pruciente ti consiglia,
pensa
pensa a te stesso, e al minor mal t' appiglia.
Rug. Oh come del suo male
fu ben persago ilcore !	(	re.
Figlia amata. Dor. Coraggio, oh Genito-
ad Ars. Tu ritorna ad Alfonso, e falle
noto,
che da quel, che ad Ismeno
amoroso mi strinse antico rodo,
tenti pur quanto puo netnica sorte,
non fia che mi disciolga altri che morte.
Dilli, ch’ i suoi furori
poco , o niente cur’io,
e che, pur ch’ io l’ ottenga, ai mio diletto
Antemural faro di questo petto.
Rug. Ismene, almen tu prendi
la cura dei mio Regno, e della uita,
tu mi consiglia, e la ragion m’ addita.
Ism. Sire, la uita, eil Regno
di Ruggiero ama Ismeno, e perche l’ ama
pur che uiua Ruggier, di morir brama.
Qnesto ferro, questa spada
per te solo impugnero,
S’ il rubei non fia che cada
almen lieto io moriro.
Dor Ma se per mia cagione,
per l' amor, che mi porti,
caro bene adorato,
a questo Regno il fato
destino tante strage, c tante morti,
ah
ah non rapir con si sfrenaro impegno
a te la libertade, al Padre il Regno.
Cedi, cedi al destino,
ch'i suoi fieri decreti
pur troppo anco per me prouo indiscreti.
Dor. Ah troppo uile Amante!
ad Ars? vanne, vanne ad Alfonso.
dilli, ch io son costante,
c che potra Dorisbe
far sua schiaua ben si, ma non amante.
Rug. Della figlia ai uoleri il Padre ceda.
Torna Arsace ad Alfonso,
dilli, che morte attendo,	(	ce
ueggo il periglio, e pur l’ incontro auda
Per dar altrui la pace.
Ars. Obedisco. parte. Dor. e tu,Ismeno
cosi paghi ii mio amore, e la mia fede ?
Quell’ Amor, ch’ a me care aneor le pene
rende, e mi fa sprezzar uita, e catene ?
Quella fe, che si forre
i miei uoleri auuinse ai uoler tuoi
cosi uilmente conculear tu uuoi!
Ism. Mia uita, Iascia almeno -
Dor. Taci, che uorrai dir?
Tesor, che bramasi.
No che non stimasi,
se, ch’ altri onengalo
si puo soffrir.
Taci &c. uuol partire,
Ism.
Ism. Deh ferma, arresta il pie. Dor.si ferma.
Amor, che gemere
fra i Iacci, e perdere
il suo ben tollera
amor none. Deh &g.
Mano, ua pur, che mentre
per tua difesa il ferro
nemico incontrero constante, e forte
fara dell' amor mio fede la morte.
Scena 4ta.
Ruggiero, e D. Ferrante.
Rug. Nuoi, che i nostri fati
su nel Cielo ognor Leggete
con eterna uerita,
uostr’ influssi meno irati
sul mio capo omai spargete,
e benigni a menarrate,
riuelate,
di me, de’ mici, dei Regno e chesara
D..Fer. Sire, il dado e gia tratto,
la rouina sourasta,
e per schiuarla il consultar non basta.
Fa’ d’ uopo ad altra cura
L’ animo accomodar, uolger la mente,
e con mano prudente
aggiunger forze alie cadenti mura.
Rug. Dunque si uada, alia fatale impresa
ogni
ogni forza s’aduni,
c in un si gran periglio
cio che non puo la mano, opri il cosiglio.
Ia causa e giusta, e se del giusto amico
e il Ciel, non fia, che cada
del giusto ai danni mai nemica spada.
AI mio Real diadema
la potenza Diuina	( porte.
gran suenture, o gran glorie oggi destina-
D.Ferr. Amor, tu, che la face
prestasti a tanco ardor,
tu lo smorza,
e rinforza
il ualor di chi soggiace
per tuo gioco
d’ Astri infidi al riotenor
Scena 5ta.
Arisinda sola
Quanto atroci uer me fete e rubelle,
crudelissime stelle-
Cadrai Messina altera,
e d' Arsinda infelice
la speranza primiera
Fra le ruine tue cadra sepolta.
Vedro, uedro fra l’ armi
oggi Dorisbe accolta
in braccio a quel crudel, chc mi tradi.
vedro-
Vedro d’ Alfonso il core
ad onta mia contento
fra le Iusinghe dcl nouello Amote.
Or che ti gioua Arsinda
fotto mentite spoglie
Iungi dal patrio Lido
di Dorisbe ai comandi
sol per amore in catenar le uoglie,
se in faccia a quell’ in fido
per decreto d’Amor troppoin costante
delusa restar dei misera Amante ?
Ma non fia uer, eh’ io ceda.
Fa pur contro di me
ogni tuo sforzo Amor,
che pur la uincero.
Con arte ingegnosa
or rigida, or pietosa
dei tuo fiero rigor'
Alfin trionfero.	Fa pur &c.
Ma Dorisbe qua giunge:
Pur che d’ Ismeno Amante ( ghi
sempre ella sia, ne mai d’ Alfonso ai 
preamorosa si pieghi,
ogn’ arte adoprero,
Scena 6ta.
Dorisbe, & Arsinda.
Dor. Humi tirrani
con
con troppa crudelta
congiuraste a’ miei danni.
Contro uoi pugnarnon so,
oh superne Deita,
se cosi uogliono i fati ,
i	decreti dispietati
di quel Nume io soffriro,
che pieta di me non ha.
Contro &c.
Per oppormi al tuo rigor,
Fatorio, uirtu non ho.
se cosi vuol’ empia sorte
alii strali della morte
sia bersaglio questo cor,
che schiuargli ancor non puo
Per &c.
sol contro te m’ adiro,
Ismen, timido Amante.
Ars. Ma quale il tuo sembiante,
mia Sighora, mio Nume,
di temerario duol ria nube ingombra ?
Forse cosi t’ adombra
del Regno, di Messina
L' imminente ruina?
Dor. Ah ben tu sai, Fileno,
qual core a questi affanni
di durissima felce io porto in seno.
Ars. Che dunque ti tormenta?
Dor. D’Amor la crudelta,
che
che nel petto d’ Ismeno
pose per mio martir tanta uilta.
Ars. Fors e t’ inganni. Der. Ahime fosse 
puruero,
Ma non erraro i sensi,
allor che l’ Amor mio saldo, e sincero
alla salute, al Regno
temerario pospose, e l' alto impegno
mi persuase a ritrattar: d’ Alfonso
poi uolle indurmi a secondar le uoglie,
per minor mal, dicea; se mai d'Amore
le strale il cor ti punse,
giudic atu, s’ e giusto il mio dolore.
Ars. Consolati, oh signora,
che sol di troppo Amore Ismeno e reo.
Quel chc t e cedere
ad altri indusselo
non fu timor,
sol che di perdere
quel ben, che rendelo
beato ognor.
Consolati, oh signora,
troppo sei cara aIsmen, troppo ei t'adora.
Scena 7ma.
Drullo, & detti.
Drul. Rouine, precipizi,
sassate, balestrate, archibusate,
B	ver-
versiere scatenate,
Diauoli dell’ Abisso,
misericordia, Aiuto-
Dor. Drullo,che c’e di nuouo? Drul. Aiuto,
aiuto.
Ars. Parla, che porti? Drul. niente, ohime,
correte correte a rompicollo.
Dor. E doue s’ha da correre ?
Drul. Non u' e tempo da perdere,
correte , e lo uedrete.
Ars Parla, di, cosa c e? Drul, Malanni, guai,
Oh poueto Padrone !
Dor. Che? Drul. Non posso parlar, son mezzo
morto.
Dor. Che dici del Padrone ?	(to.
Drul. Lasciate, ch’ io respiri. Dor. Ah scelera-
Finiscila, fellone.
Drul. Signora, con le buone
Ogni cosa saprete,
e piu di quello ancor, che non uolete,
Inemici son dentro ,
il mio Padrone , Ismeno
su le mura fra certi Mascalzoni
si troua mezzo morto, o poco meno,
e se qualcun non lo soccorre presto,
sicur fara del resto.
Dor. On me infelice! Irene,
serui,chi e la?
Sce-
Scena 8av
Irene, e detti.
lr. Signora, eccomi qua.
Dor. Dammi la spada. lr Come ?
Che nouita son queste?
Dor. Obedisci, non piu. Oh fato rio,
saziati almeno un di col sangue mio.
lr. Ecco la spada. Dor- Amore,
in tuo nome l’ impugno,
si soccora il mio bene,
si uada, e a grand’ onore
s’ ascriua nel fatal duro periglio,
fe pur che uiua Ismen, Dorisbe more.
parte.
Ars. Anch’ io ti seguo. lr. Ferma,
ferma, amato Fileno.
E abbandonar non curi,
chi sol per amor tuo langue, e uien meno
Ars. Se chiedi amore, lrene,
l’ impossibil tu chiedi, e all’ aure in tanto
spargi i sospiri, e full’ arene il pianto.
lr. Dunque amor tu mi neghi?
Ars. Dico, che inuan tu preghi.
lr. Tu sei troppo crudel con chit’ adora.
Ars. E tu importuna a trattenermi ancora.
parte.
Cosi ti prendi gioco
de’ miei tormenti, Amor?
Luc-
Luccioletta innamorata
porto ben nel seno il foco,
ma ia fiamma, che beata
douria farmi, il cor mi strugge,
e distrugge
ogni gioia un riorigor. Cosi. &c.
Drul. Ancor per Ia paura
mi fa salti mortali il cor nel petto,
e tutta in un momento a mio dispetto
fuggi, spari l' antica mia braura.
Che ad Acheronte io ruzzoli,
c sui mio capo spruzzoli
saette irato il Ciel,
se mai tue leggi apprendere,
se mai piu spada prendere
mi fai Marte crudei.
Che ad &c.
In guerra stia chi uuol’, io Iungi uoglio
quanto dal fuoco star da quest imbroglio.
Scena 9na.
Eurillo , e Drullo.
Eur. Drullo, Drullo, Drul.si spanenta chi e la?
torna indietro guidone, d ch’ io t'
uccido.
Eur.Flemma, signor soldato,
sete moito infuriato.
Drul. Scusami, Eurillo caro ,
son
son di me stesso fuore,
quando mi salta il bellicoso umore.
Eur. Oh che brauo Campione !
so che tu serui bene il tuo Padrone.
Egli fra tanti Armati
tutto fa col consiglio, e con Ia mano,
tu pute il brauo fai, ma da lontano .
Drul. Ho ueduto par troppo.	(ch’io
Dou’ ora e il mio Padron, sonstato 
anma quel taccol non e pel capo mio.
Eur.Dou’ e la mia Padrona ?
Drul. Ell’ era qui poc’ anzi,
ma sentendo , che Ismeno
era quasi spedito, o poco meno,
per ouuiare a cosi gran periglio
prese la spada, e poi
di qua parti con intenzion d’ andare
afarsi sbudellare.
Euril. In somma queste donne fan cosi.
In Amor fan le ritrose ,
le sdegnose,
ma s un giorno nella rete
alfin’ incappano,
piu non scappano,
e le uedete
oprar cio che mai s' udi.
In somma &c.
Ma tu, che augurio fai di questa guerra ?
Drul. Vada il mondo per terra,
B 3	io
io	per me non ci penso;
s esser piu non potro Siciliano,
saro Napoletano .
Eur. Ma se muore il Padrone?
Drul. Morto lui resta Drullo.
E ben pazzo da catena,
e ceruello alcun non ha
colui, che prende pena
di cio ch esser doura. Eben &e.
Eur. Sempre e stato anche questo il parermio,
Orsu’ uogl’ ire anch’io
a trouar la Padrona ,
Drullo, uuoi tu uenir? Drul, Verro, ma
prima
uoglio i patti fra noi ,
ch’ ognun deua badare a fatti suoi.
Di morir non mi struggo,
e s io ci uedo imbrogli,
chiara tela uo dir, ti lascio, e fuggo.
Eur. Andiam, non c’ e pericolo,
non fia chi ti disturbi.
Santa poltroneria Madre de’ furbi,
Scena 10ma.
Alfonso, Ismeno, Dorisbe, Arsinda,
Arsace.
Si uede il combattimento fra i soldati
di Sicilia, e di Napoli, e fra essi ismeno,
& AI-
& Alfonso, il qvale uieno accompagnat o
da Arsace.
Alf. Cedimi, temerario, lsm. In uan lo speri,
uo morir glorioso.
Dor. si frapone Crndei lascia il mio sposo.
si sospende il combattimento.
lsm. Ah Dorisbe, perche? Lascia, ch’ io mora,
o ch’ io priui di uita
chi con man tropp’ ardita
uuol rapirmi il mio ben.
Assale Alfonso. Sogragiutunge Arsinda,
& impedisce un colpo, che poteua ucciderlo.
Ars. ad lsm. Tu lascia Alfonso.
da se vim crudel, benche diuita indegno.
si sospende di nuouo il combattimento.
Ars. Opportuno soccorso.
lsm Importuno ardimento. 0la Fileno,
dunque tanto presumi
d’ impedire ad Ismeno
le sue giuste uendette?
Ars. Fingoronne il motiuo dase.
Preuidi, ehe d’ Aifonso
la morte a’ nostri danni
fabra saria di piu penosi affanni,
onde stimai gran sorte
d’ impedirne l' effetto.
lsm. M’arde di sdegno un Mongibello in petto.
Ars. Fu giusto il mio pensiero.
Alf. Arsace, uanne,
ne
ne permetter, ch’ alcun dentro Messina
tenti strage, o rapina.
Non uenni per predar, allor ch’ Amore
a tant’ opra mi spinse,
il marzial furore
nel mio petto Reale affatto es tinse.
Tu rendi intanto, oh ualoroso Ismeno,
ad Arsace la spada.
Ism. La spada a chi non uinse Ismen non cede.
Vinci, e i’ aurai.
vuol' assaltr di nuouo Alfonso.
Dor. Deh ferma,
cedi a me questo ferro.
ism. bacia la spada, e la rende a Dor.
ism. Se tu il comandi, ai tuoi uoler m’ atterro.
Ecco il ferro, ecco il core.
Alf. Tronchero il fil di si superbo amore.
S’ imprigioni costui. Dor. Sire, d’ Ismeno
la liberta ti chieggio.
Alf. O questo no. Ti basti,	(	ro
che al Padre il Regno, a te, che tant’ ado-
la liberta concedo.
Come se a tante spade
per possederti esposi il petto mio,
or che, merce d’ Amor, purti posseggo,
uedermi auanti il mio Riual poss’ io?
va pure alie catene.
ism. Ah spietata Dorisbe,
nel glorioso cimento
per-
perche non mi Iasciasti in preda a morte?
Dor. Soffri, Ismen, di tua sorte
il decreto crudele,
ch’ a dispetto dei fato
nell’ Amor, nella fe sempre costante
aurai Dorisbe amante.	(	mato.
lsm. Temo d' un Re, che t’ ama, il braccio ar-
Dor. D’una donna uedrai l' alta fermezza.
lsm. Diuerra dispietato.
Dor. Sono ai perigli auuezza-
lsm. Se cedi, io moro.
Dor. Viurai, perch io t’ adoro.
lsm. Resta fedel
a 2. Addio.
Dor. Vanne sicuro
Ars. Quant’ e propizio Amor' al pensier mio!
Dor. St getta at piedi d' Alf ? e li porge la spada.
Or che d’ lsmeno priua
la uolesti, oh Tiranno,
non fia, che piu Dorisbe al mondo uiua.
Prendi il ferro, e nel seno
l’ immergi di colei,
che petche t’ aborisce
pur deteftare, & aborrir tu dei.
„ Ferisci, e il cor uedrai
,, di tai tempre fornito,
„ che non t’ amo, ne t’ amera gia mai.
,, Ferisci, e il frutto sia di tua vittoria,
„ ch’ una donna constante
,,com-
„ compi con la sua morte ogni tua gloria
Alf. Ergiti, uiui, & ama,
generosa Dorisbe,	( ma.
un Re, che tue grandezze, evuole, e bra-
Dtr. Non vuol le mie grandizze
chi m’ inuola il mio bene.
Alf. Vedrai le sue catene
per te cangiarsi in un Real Diadema.
Dor. Alfonso, ancor l' offerte tue disprezzo.
Non ho si uile il core,	( ra?
morte ti chieggio, e non l’ ottengo anco-
Alf. Non ho, che per amarti, il cor in petto.
Dor. Ne io, chc per schernisti, onta, e dispetto
parte.
Ars. Vado per secondar si gran costanza parte.
Alf.	Che mi gioua, Amore di
cinto al crin diadema d’oro,
se poi inuan pietade imploro
da quel bel, che mi feri?
,, Infclici, e che faro?
,, Che mi gioua effer potente,
,, se d’ un cor, ch’ Amor non sente
„ il rigor uincer non so ?
„ Ma tentero ben’ io,
,, che le lusinghe, e i uezzi
,, uincano i suoi disprezzi.
,, Soffriro, preghero , finche placato
,, renda quel Ciel, che mi puo far beato.
Fine dell' Atto Primo.
AT-
A T T O II.
Sccna Ima.
Alfonso, Ruggiero, Dorisbe, & Arsinda.
Rug. ALfonso ai uinto.
Alf. Erri, Ruggiero. Rug. Ecome ?
E non son io tua preda?
Non e questo mio Regno a te sogetto ?
Alf, Ne di te, ne del Regno unqua desio
nacque nel petto mio,
bramai sol di Dorisbe
,, il possesso, e la fede.
„ Per cio sia pur d’ Ismeno
„ di sangue a te congiunto
,, la successione al Regno. Ame sol basta
„ di Dorisbe l’ affetto :
Ma se questa ostinata
per man del suo rigor mi uuol’ estinto,
come puoi dir ch’ho uinto ?
Rug. Alfonso, per tuo dono, e regno, e uiuo
Conosco i miei doueri.
la tua Regia pieta. Ma come, oh Dio !
della Figlia i uoleri
uiolcntar poss’ io?
Alf. a Dor. Mio nume adorato
deh placati un di.
Dor.	Amore,	il mio sato
com-
comanda cosi. 
a 2. Adoro il legame,
chc dei mio cor ie brame
Alf. a Dorisbe Dor.. Ad Ismeno
a 2 si dolcemente uni.
Mio Nume &e.
Alf. E troppa impieta
negar pietade a chi pietade implora.
Dor. Saria non men uilta
negar Amor’, e fedea chi s’adora.
Alf. Dunque saraj
sempre cosi		constante?
Dor- Si si	saro
Alf, Fa’ pur cio che t’ aggrada:
morto e gia Ismen, Tu sei d’un’ ombra
amante.
da se Cio che non ponno i uezzi, opri l’
inganno	parte.
Dor. Ahi misera, che ascolto?
se resisto al dolore
e forza dir’, ch’ ho di mdcigno il core.
Rug. Dorisbe, amata figlia,
ti consola , e del Cielo
ai uoleri t’ appiglia. parte.
Ars. Animo, oh mia signora ,
forse non sara uer. dase Nuoua si fiera
ahi che non e per me meno seuera,
Dor. Dileguati in sospiri,
speranza del mio cor,
cangiateui, oh miei lumi,
di
di pianto in larghi fiumi,
e se il mio ben perdei,
fi uinca d’Astri rei
con le lacrime il rigor.
Dileguati &c.
Ma no s’ asciughi il pianto,
deluso. e uilipeso	(da
pianga il Tiranno e con suo scorno ue-
ch’ esser sapro nel mio pensier costante
pria chc di lui, d’ una nud’ ombra amate.
Ars. Secio segue io respiro. parte.
Magia benche da Iungi
piu non uedo Dorisbe.
Amor, sdegno e furore
li poser l’ ali al pie. Misera Arsinda,
chi sa, se Ismeno e morto,
che Dorisbe pentita
d’ AIfonso alle lusinghe un di non ceda?
Ahi ch’ il timor m’ uccide.
Con fiera baldanza
Timor’ e speranza
fan battaglia in questo cor,
ne so dir chi uincera.
Mi dice Amor, ch’ io speri,
ma che pro, se poi piu alteri
sent’ io ben, che rio timore
alla speme gl’ assalti ne da?
Con fiera & c.
E fin’ a quando mai
Con-
Contro d' un' innocente
oh ria fortuna, imperuersar uotrai?
Ah me infelice, ah troppo crudo Alfonso!
Alf. sente.
Scena 2da.
Alfonso, & Arsinda.
Alf. da se Crudel costui m’ appella ?
Perche dimmi Fileno,
perch’ è crudele Alfonso ?
Ars. Ohimè, s’ ei m’ ascoltò, son morta. Sire,
cosi dicea Dorisbe,
quando da me partì.
Alf E Dorisbe perche crudei mi chiama ?
A lei, che me disprezza, è ben douuto
un si fatto attributo.
Ars. Non fù leggiera offesa,
e di sposo , e d’ Amante
priuarla in un’ istante-
Alf. Se d’ Ismeno la morte
di Dorisbe a cangiare il cor non basta,
uanne, amato Fileno,
dilli, che uiue Ismeno.	(	lice.
Ars. da se. Se uiue lsmeno, io son meno infe-
Signor, dunque d’ Ismeno
in sicuro è la uita ?
Alf. Si, Ars. Permetti a me dunque ,
che con Dorisbe in tuo fauor fanelli.
Alf.
Alf Purché meco si plachi,
prega, prometti, ch’ io
arbitro già ti fò dell' Amor mio.
Ars, da se, Saprò ben’ io contro quest’ empio
in seno
fomentar di Dorisbe un rio ueleno.
Signor’ in me t’ affida.
Alf. Sopra di te riposo.
Scena 3za.
Eurillo, e detti.
Eur. Ohimè, correte,
la Padrona si muore.	(to.
Ars. Oh Dio ! Di tue finzioni è questo il frut-
Vengo precipitando.
Alf. Io ti seguo uolando.
Ars. Nò, ferma Alfonso,
che la tua uista ancora in tal cimento
cagionar li potria maggior tormento.
Alf. Ah non uoler-Ars. Non più, lascia, ch'
io uada,
ch’ allor, ch’ ella saprà, che uiue Ismeno,
lo spirito smarrito
li tornerà nel seno.
Eur. Finitela mai più.
Alf. Fileno, a te commetto	(metto
ogni mia gioia, ogni mio ben. Ars. Pro-
ogn’ arte adoperar, da se. Ma per schernir-
ti, Parte con Eur.
Alf.
Alf. Hà ne’ lumi il sol diuiso
la beltà, che m’ inuaghì.
Ma che prò, se dispietato
ora uuole auuerso fato,
che s’ eclissi quel bel lume,
che beato
potria farmi oggi cosi ?
Ha ne' lumi &c.
Scena 4ta.
Irene fola.
Ir.Dimmi, dimmi perche,
crudelissimo Amore,
trouar non posso à miei lunghi torment
di Fileno nel cor qualche mercè ?
Gigli eletti
candidetti,
che di latte auete il sen,
la mia fé del uostro fiore
al candore
non uicn men.	Gigli	&c.
E pur, Fileno, oh Dio !	.
o non cura, ò non uede il dolor mio.
Ma quà ne giunge Arsace. Vn tal inco,
tro
uoglio schiuar	vuol partire.
Sce-
Scena 5ta.
Arsace, Irene.
Ars. FErma le piante, oh cara,
amatissima Irene;
cosi di chi t’ adora
fuggi la uista ancora ?
Son ferito, e tu sei quella maga,
che in petto la piaga
coi lumi m’ aprì -
Adoro quel dardo,
che figlio d’ un guardo
patria risanare
il cor, che ferì. Son ferito &c.
Ir. Arsace, inuan tu tenti
di suegliar nel mio cor nouello ardore,
altra più bella fiamma
m’ accese in petto Amore-
Ars. Dunque uorrai, che disperato io mora ?
Chiedo pietà Ir. Da me la chiedi in uano,
ch’ io pur la chiedo, e non l’ ottengo 
ancora.
Ars. E un fiero martire
Ir. a 2.	bramar di gioire,
e non trouar pietà.
Ars.	Quel ben, che s’ adora,
Ir.	quel bel, ch’ innamora,
Ars.	se sprezza I' ardore,
Ir.	se Ichiuo è d’ Amore,
C	v 	2.
a 2. d’ un misero core
Tiranno si fa.	E	un	&c.
Ars. Dunque, Irene adorata,
pietà di me ti prenda.
Ir. Dar non possio ciò, ch’ a me uien negato.
Ars. Mi morrò disperato .
I. Morrò di duolo anch’io.
Ars.	Irene
a 2. Ah troppo dura lege	addio.
Ir.	Arsace
Ecco Dorisbe, e seco il mio Fileno ;
miei lumi uagheggiate
quel bel, che ui disprezzà, e pur l’ amate.
Scena 6ca.
Arsinda, Dorìsbe, Irene.
Ars. SIgnora, udisti, Ismeno uiue, in tanto
con nezzi, e con lusinghe
alletterò d’ Irene il cor’ amante,
acciò per opra sua s’ottenga almeno
di parlar con Ismeno.
Dor. Fido Fileno, oh quanto
deuo al tuo amor ? Ars. Ma giusto
Irene è in questo loco,
lascia, eh’ io sia qui solo .	(	Parte.
Dor. Fileno, in te ripongo ogni mia speme
Ars, Tutto oprerò per ben seruirti. Ir. Adesso
da se che Dorisbe è partita
a Fi-
a Fileno m’ appresso. Ecco mia uita,
una delusa, e moribonda amante
al suobel sol dauante.
Aquel sol-Ars. Taci Irene
il tuo amor, la tua fe, la tua costanza
già compresi a bastanza.
cangio in amor lo sdegno,
ti dò la mano in pegno	(to?
del mio sincerò cor. Ir. Oh Dio, che sen-
Appena credo uero il mio contento.
Non brama di più
la salda mia fe
di tanta dolcezza
quest’ anima auuezza
a sempre penar,
capace non è. Non &c. l' abraccia.
Oh bramate catene, oh cari nodi !
Ars. Odi, mio ben. D’ Ismeno
bramo d’ aprirmi al carcere Ia uia
per seco fauellar : se tu d’ Arsace
seconderai gl' amori, il mio disegno
aura felice effetto.
A’ suoi uoleri inclina,
pregalo di tal gràzzia, e questa sia
della tua fè sincera
la caparra primiera.
Ir. Il genio ui contrasta.
Ars. Preiiaglia l' amor mio.
Ir. Dunque all’ impresa
C2	per
per amor tuo m' accingo ,
e fra pochi momenti
l' effetto ne uedrai. Ars. Dei miei conteti
Il’ Artefice tu sei.
Ir. Per meglio amarti più d’ un cor uorrei
Ars. Quanto sei cara, Irene.
Ir. Quanto dolce sollieuo han le mie pene.
Ars. Per te uiuo, oh mia uita,
Ir. Per te moro, oh mio core .	(	re.
a 2. Sarà eterno, immortale il nostro Amo-
„Ars. Ma uien Ruggiero. Irene, in te confido.
,,lr. Vedrai quando sa far un cor, ch’ è fido.
Scena	7ma.
D. Ferrante, & Ruggiero.
D.Fer. Con memoriali in mano Sire, intendesti,
Alfonso.
le suppliche mirò, poi del reseritto
non uolle egli la cura,
ma subito m’ impose ,
che a te le riportassi
dicendo, che di Napoli reggeua,
non di Sicilia il Regno,
e ch’ a te sol s aspetta
usar tue grazie con chi n' è più degno.
Rug. D’ Alfonso il Regio core
ui è più m’ astringe ad un cordial’ amore.
D. Fer. Perche dunque li neghi
di Dorisbe le nozze ?
Rug.
Rug. Perche Dorisbe le recusa.D. Fer. Dunque
opra da Padre, Rug. E come ?
D. Fer. Se prima l’ esortasti, ora comanda.
Taluolta il rigore
bisogna anch’ usar,
che spesso l' Amore
inuita ad errar. Taluolta &c.
Ne dee la figlia al Padre,
che si mostra indulgente
farsi disobbediente.
Rug. Al tuo uoler m' appiglio.
Qua ne uenga Dorisbe. Amor paterno
renunzio alle tue leggi,
abbia un giusto rigore
la palma del mio core.
Scena 8va.
Dorìsbe, Ruggiero, D. Ferr. & Alfonso.
Dor. Mio Re, mio Padre, a’ cenni tuoi m
inchino,
Rug. Figlia, disponti omai
alle nozze d’ Alfonso.
Dor. Ismeno adoro, e soll’ Ismeno io uoglio.
Rug. Souuengati , che quello
per amor tuo la libertade, il Regno
cortese a noi donò.
Dor. Tutto questo ben sò-
Rug. Dunque a si degna fede
rendi degna mercede.
C3	Dor.
Dor. Il giusto noi permette,
non lo consente Amore .
Alf. in dis parte. Opportuno qua giunsi
Rug. operò da Padre. Dor. E che pereiò ?
Rug. Il rigore userò
Dor. La mòrte a un' infelice
E’ piccol mal. Alf. Troppo è costante.
D.Ferr. Al Padre.
troppo ritrosa sei.
Dor. Son giusti, oh D. Ferrante, i sensi miei.
Rug. Saprò cangiar l’amore in ira, Dor.il seno
squarciami ancor, che caro
m’è il morir per Ismeno.
Rug. Odi-Alf. fuori. Non più j Ruggiero il
uostro affetto,
Dorisbe, il tuo rigore
già pur troppo compresi.
Disponti ad esser mia. Dor. Pria della
morte.	parte.
Alf. Crudel, non u’ è per me
una stilla di pietà?
Questo cor d’ amore acceso,
se schernito, e uilipeso
ogni gioia perderà,
che farà?	Crudel	&c.
„ Ma, femina crudel, saprò ben’ io
,, smorzar fuoco si rio.	parte.
Rug. Vdisti, D. Ferrante,
di tu, se mai nel mondo
fu
fu donna nell’ Amor tanto costante ?
Di quel sen, che tuo si fà
tu sei tiranno, Amor.
Non par la tua catena
graue pena
e pur la libertà
smarrisce amando il cor.
Di quel &c.
D. Fer. Odi, Signor se Ismeno
con Dorisbe sdegnato
si dimostrasse un dì, chi sa, che quella
non cambiasse fauella ?
Rug. Ma chi potrà già mai
somministrar materia a questo foco ?
D. Fer. Sarà facile il modo.
Rug. Ancor questo si tenti.
D. Fer. Per far ciò , che tu brami
nasceranno i portenti.
Rug. Aun Padre suenturato, a un Re infelice.
perche fra tante angustie
di morir di dolore oggi non lice ?
Scena 9na.
Eurìllo & Drullo.
Eur. Quest’ Amor che cosa sia
non intende questo cor.
Io per me non l’ho prouato,
ma la credo un’ inuenzione
C4	per
per morirsi disperato,
e per star’ in conclusione
semper in rabbia, & in dolor.
Questo' &c.
Parlo per esperienza.
Questa Corte, che prima era l' Albergo
della gioia, e del riso,
dopo che quest’ Amor uituperoso
c' hà posto il piè, con strana mutazione
ogni cosa è lamenti, e confusione.
Ma uedo Drullo. Drullo ?
Dimmi, sei tu mai stato innamorato?
Drul, Guardimi il Ciclo. Amor non mi
minchiona ,
faccia pur quanto può uaga beltà,
ch’ io non mi uò giocar la libertà.
Zerbinetti
leggiadretti
a uoi lemie ragioni io cederò.
Con amor' io non uò taccoli,
scherzerò,
riderò,	(	to 	nò.
ma quanto a innamorarmi oh ques-
Zerbinetti &c.
Eur. Se così auessi fatto il tuo Padrone
non sarebbe in prigione.
Drul. Non sò, che mici far’, io liel' hò detto
un milion di uolte;
ma questa è la mia rabbia,
che
che gl' altri uanno a spasso , e lui stà in
gabbia.
Eur. Oh di questo poi Drullo,
non dei marauigliarti.
Son le delizie di chi serue in Corte .
E la Corte una gran ruota,
che fermezza in se non hà.
Quel, che ieri era laggiù,
oggi in alto ascenderà,
e quel ch’ oggi stà lassù,
in poc’ ore afflitto, e misero
precipitosamente a cader uà.
E la Corte &c.
Così uà, così è , chi uuol patire
senza speranza di goder giamai
uada in Corre a seruire.
Drul. Ancor’ io mel’ aspetto ,
se non ci uà il Padron prima di me
della mia seruitù fida, e fincera
d’andar per benemerito in galera.
Eur. Ma quà uedo Fileno. Anche costni
non esce mai di tasca alla Padrona.
Questa gran confidenza,
mi dà da sospettar. Drul. Ch' importa a te?
Tu stai fresco, se pretendi
di saper la uerità
son le donne più di te
sealtrite, e furbea fè,
e i loro intrighi ritrouar chi sà ?
Tu stai &c.
Ma Fileno è già qui.
Eur. Ariuederci. Drul. Addio.
Scena 10ma.
Arsinda, e Irene.
Ars. CHi non sà, che si a dolore
al mio core
lo domandi, e lo saprà .
Li dirà, che langue, e more
per rigor di rea belta. Chi &c.
Ma uiene Irene. Asecondar sue uoglie,
pur che ad Ismeno a fauellar mi guidi,
a finti amori, e uezzi
nuouamente m' accingo.
Ir. Adorato Fileno , al sen stringo.
Ars. Dimmi,uedesti Arsace ?
Ir. Lo ueddi, e il tutto oprai.
Del carcere d’ Ismen quest’ è la chiaue.
Prondila, e a tuo piacere
con esso parlerai.
Ars. Quanto ti deuo, Irene ?
Ir. Più uòrria far per ben seruirti il core.
Ars. Segno euidente d’un leale amore.
Ir. Sarò sempre fedel. Ars. Da me l’ istesso
ti prometti oh mia uita.
Ir. Sicura del tuo Amor uiurò beata, par.
Ars. Hò la gioia nel seno,
son tutta consolata.
Sce-
Scena 11.
Alfonso, & Arsace
Alf FRa le palme, e fra gl’ Allori
piange un Re la libertà,
& il cor fra lacci auuinto
chiede paee quando hà uinto
a colei, ch a’ suoi dolori
uinta ancor pietà non hà.
Fra le &c.
Numi, Amore, miei sensi, a un Re in
felice,
per domar’ il destino
uoi suggente ciò ch' oprar più lice.
Ars. Sol la morte d' Ismeno
basta, oh gran Re, della perduta pace
ad arricchirti il cor. Dunque l’ uccidi.
Alf. Taci, che un Regio seno
non dee sentir di tirannia l ardore,
vanne, e di doppia spada
prouuisto a me ritorna.
Al carcere d’ Ismeno io uolgo il passo.
Colà d’ oprar risoluo
ciò che spirto d' onore
m’ instillerà nel core .
Al Carcere t’ attendo.	parte.
Ars. Io sarò pronto.
Qualche graue ruma
alla uita d’ Ismeno
giustamente sdegnato Amor destina.
or
Or che benigna Irene
gradisce l' amor mio,
che di più per gioir bramar poss’io?
Ti lascio, t’ abbandono,
oh cara liberta.
Ad amor tutto mi dono,
sol quel bel, che mi ferì,
e soaue il sen m’ aprì
questo core adorerà. Ti lascio &c.
Scena 12.
Ismeno, & Alfonso.
lsm. IO ui bacio, cari lacci,
marche illustri di mia fè.
Son benigne le mie pene,
son soaui le catene,
se per seguirti, Amor, le soffre il piu
Io ui &c.
Se Dorisbe è fedel, nò che non fia,
ch’ io non u’ ami, e u’ adori,
care amate ritorte,
fa tù pur quanto puoi, sorte incostante,
troppo e dolce il penar’ a un Cor’ amà
Sol mi tormenta Ma che uedo ? Alfonso
in questo loco? Oh Dio,
temo di tue uicende, oh fato rio.
Alf. Ismen, gia che finora
per placar di Dorisbe il cor costante,
offersi, supplicai, ma sempre in uano,
ne
ne ualser d’un Regnante
le preghiere, i comandi
d’ una femmina imbelle
a raffrenar l' orgoglio ,
tentar nuoua fortuna adesso io uoglio.
Tu ben sai , ch’ io potrei
come mio prigioniero
sanar col tuo morir la piaga mia.
Ma perche giusto son, uò che la sorte
de’ miei giusti uoleri arbitra sia.
A singolar battaglia in questo loco
io ti disfido, oh forte,
e sotto il colpo dell’ auuersa spada
Dorisbe perderà chi fia che cada.
Ism. Sire, ne’ tuoi comandi
della tua gran giustizia ammiro i pregi.
E tua somma uirtude	(que
l’ usar con me tanta clemenza. Alf. Dun-
Arsace olà ? Ars. Signore ?
Alf. Le spada appresta. Prendi
Ars. le pone m mezzo.
quella, che più t’ aggrada .	go.
Ism. Io per me questa elego. Alf.lo questa strin-
ad Ars. Tu di qua t’ allontana .
Ars. Assisti, alato Nume,
alla causa più giusta. parte.
Alf. Per ottenerti, oh bella,
lsm. a 2 generoso io pugnerò.
Se uorrà sorte rubella,	ch’
ch’ ai fato io ceda, almeno
eontento morirò,	Per	&c.
Alf. All’ opra dunque, lsm. Io son gia pronto
a 2. All’ Armi. si battono.
Scena 13.
Arsinda, e detti.
Ars. A Hi che uedo ? Fermate, gla trattiene
Alf. Come quà ti portasti?
Che chiedi? Ars. Per tua sorte
quà uenni. lsm. E così sempre
tenti impedir le mie fortune? Ars. Oh Dio
da se. ch’ il timore mi toglie anehe gl
accenti.
Per parlar con Alfonso io qua ne uenni
lsm. a 2. Deh lasciami morir.
Alf.	s' assaltano di nuouo.
Ars. gli ferma Fermati, Alfonso,
che Dorisbe è già tua.
da se. D’ingannargli mi gioua.
lsm. Come ? Alf. Sogno, ò son desto ?	
lsm. Il dolore m’ uccide .
Alf. L' allegrezza m' avuiua.
Ism. Se tu mi narri il uer, son disperato.
Alf. Se tu non sei mendace, io son beato.
Ma tu come lo sai?
Ars. Molo disse Dorisbe. Alf Ismeno dunqu
se Dorisbe è già mia
cessin
cessin fra noi legare.
vado a goder, tu restati a regnare, parte.
Ars. Seconderò l’ inganno, parte con Alf
Ism. Qual fu giamai del mio più crudo affano?
Sù sbranatemi,
laceratemi.
mostri d’ Alterno il sen,
Le uostre ingiurie.
amiche furie,
di quella perfida
m’ oftendon men.	Sù &c.
Scena	14.
Ruggiero, D. Ferr. e detto.
Rug. ECco Ismeno. Ma quale
di rio dolor lo turba atra tempesta ?
Ismeno, Ismeno -
D.Ferr. Forse
dalla sua prigionia nasce il suo duolo.
Rug. Ismeno, il tuo dolore
mi passa l’ Alma, c mi diuide il core.
Penso però ben tosto
sottrarti alle catene.
Odi, Dorisbe ai tiezzi,
d’ Alfonso alle lusinghe ancor non cede.
Io, che pur lamia pace un di’ uorrei,
e la tua libertade,
per non mostrarmi ingrato
d’Alfonso ai benefizi,
a compiacer lo aspiro. Se degnato
con Dorisbe ti fingi, ella, chi sà ?
forse si piegherà.
Ismeno, amato Ismeno ,
seconda i uoti miei, che forse un giorno
potria con ral inganno
far ia perduta quiete a noi ritorno.
lsm. da se. Anche questo di più, stelle peruerse
D Fer. A si trista nouella	(louedo
si com mosse non poco. Rug. da se. lo ben
Ismeno, un cor uirile
non cede a questi assalti: Ilmio diadema
il erin ti cingerà; ma se la figlia
ad Alfonso concedo,
e a te priuarne inclino,
mia la colpa non è, ma del destino,
Ostinato il mio uolere
contro il fato oprar non può.
S'a' miei danni iniqua, e ria
congiurò lasorte ria
alle leggi sue seuere
questo petto oppor non sò.
Ostinato &c.
lsm. Ruggiero, a un’ infelice
con tai mentite larue inuan tu tenti
d’ accrescere i tormenti.
Se Dorisbe è d’ Alfonso,
come’ pur troppo intesi,
per
perche, dimmi, perche
ora quest’ arti usar tu vuoi con me ?
Rug. Ismen t’ inganni. D. Fer. Erri gran Duct'.
lsm. Ecome ?
se Fileno poc’ anzi
il tutto a me narrò? Rug. Mentì Fileno
	fe ciò ti disse. lsm. Ah mio signor, pietade
abbi d’un cor, che dal suo duolo oppresso
nemen crede a se stesso. parte.
D. Fer. Il pensiero d’ Ismeno io ben cóprendo.
Per non darti al progetto
di fingersi sdegnato
adequata risposta
finse quanto narrò. Rug. Forse non erri.
Ma intanto in tai uieende il mio dolore
si fà sempre maggiore. parte.
D.Fer. Giusti Dei,uoi che uedete
del mio Re la lealtà,
deh benigni soccorrete
un Regnante appassionato ,
che per forza d’ empio fato
nel mar di sue miserie a perir uà.
Giusti &e.
Fine dell' Atto secondo.
D	AT-
A T T O III.
Scena 1ma.
Alfonso, & Arsinda,
Alf. SE Dorisbe è già mia,
se per sposo m’ accoglie
a fauellar con lei
dunque ch’ io uada reeusar non dei.
Ars. E’ uer; ma ben conuien, ch’ iò di te prima
a lei del tuo uenir l’ auuiso esprima.
Alf Amor sprezza i rispetti.
Non è già mia Dorisbe amante, e sposa?
Scena 2da.
Dorisbe, e detti.
Dor. CHi di te amante, e sposa? Erri, se credi
che per altri, che Ismeno,
abbia Dorisbe, e fede, camere in seno.
Art. da se. Ohime son morta .
Dor. Son’ amante, e d’un sol foco
è capace questo cor ;
son costante, e prendo agioco,
Dio bambino, il tuo rigor-
Alf. E così dùnque , oh cara,
di schernirmi tu godi?
Disprezar un cor' amante,
mio bel nume, è crudeltà ;
mi
mi sehernisci, e pur costante
in amarti il cor sarà.
Dor. Non ti schernij, ne schernirò già mai.
Fu chiaro il mio parlare ,
dissi, che sempre Ismen fida adorai,
l' istesso or ti confermo.
Alf. MaFilen, se non erro,
mentre poc’ anzi al Carcer con Ismeno’
stauo pugnando in singolar tenzone-
Dor. da se. Oh Dio, questo di più?
Alf. Mi disse pure,
che cangiato desio
gradiui l’ amor mio.	(be
Ars. da se. Ah me infelice ; almen' or' a Doris.
potessi dir ch’ io finsi.
Dor. Menti. Ma tu , Fileno,
come a ciò t’ inoltrasti ?
Ars. da se. Che dirò ? M’ incontrai,
mentre ch’ Alfonso- Alf. Si, mentre ch
io stauo
pugnando con ismeno, c mi narrasti.
Por. Che ? Ars. Ad amarlo eri pronta.
Scena 3tia.
Ruggiero, e detti,
Rug. sente. Dunque non m’ ingannò ,
non fù menzogna ciò che disse Ismeno.
Dor. Ma quando ciò già mai,
dimmi, ti comandai?
D2	Mia
Ars. Mia signora- Alf. Non più	(to
tenti in uan di schernirmi. Hò già soffer-
quanto soffrir potei. Ruggiero, ascolta,
se della mia clemenza,
Dorisbe abusa ancor, forse sarà,
eh’ io cangi la clemenza in crudeltà.
Seruiti dell’ auuiso.	parte.
Rug. Figlia, per te infelice
fin qui sono a bastanza:
ad Alfonfo m’è noto,
! che promettesti Amor, dunque t’ accingi
adamarlo. E tuo sposo, alsen lo stringi.
parte.
Dor. Vi son, ui sono in Ciel
più fulmini
più turbini,
tiranne Deità , contro di me?
Che mi gioua l’ innocenza,
se la uostra gran potenza
uer me implacabile,
inesorabile
oggi si fè.	Vi	 son 	&c.
Ma tu, Fileno indegno, traditore ,
fomenti il mio dolore.
fi, si, eontro di te - Ars. Ferma, signora,
del tuo giusto rigor l' impeto ardente.
da se. Mi scoprirò per minor male. Arsida
di Castro Prencipessa il piè ti bacia.
s’inginocchia,
Dor.
Dor. Ahi che uedo, che ascolto ?
Ars. Quella son’ io, che dal rigor d' Alfonso
fui schernita, c delusa ;
onde per uendicar dell’ Amor mio
la troppo graue ingiuria
sotto mentite spoglie in questa Corte
per impedir ne uenni
di quest infido i barbari disegni.
Tu, se di ciò, ch’ oprai
contempli la cagione,
sò, che dirai, che ben capace io sono
di benigno perdono.
Dor. Alzateui, Signora. Il uostro caso
molto m’ affligge; intanto
sperate, che Dorisbe
al uostro giusto fine
non è per contrastar. Ma perche prima
non palesaste l' esser uostro? Ars. Vn.
giusto
timor mel’ impedì. Dor. Questo da uoi
ora sia lungi, e pur che quest’ indegno
dell’ error suo s accorga ,
adopretò i disprezzi, e uoi l' ingegno.
Ars. Quanto ui deuo , Amica .
Dor. Ma, ditemi, quai furo
d’ Ismeno i sentimenti,
allor che per infida egli m’ apprese?
Ars. Nol sò, che in quell' istante
d’ Alfonso, che partiua
D3	io
io seguttai le piante.
Dor. Vorrei pur col mio bene
giustificar me stessa.
Ars. La chiaue, che mi die poc’ anzi Irene
mi scortcrà a scruirui.
Dor. A uoi commetto
dell’ innocenza mia l' alta difesa. parte.
Ars. Sarò di fuoco per si grane impresa.
Speranza dolce , e cara
ti sento nel mio sen.
Si speri, forse un dì
colui, che mi tradì,
l’ error conoscerà
riportcràal mio cor un di seren.
Speranza &c.
Scena 4ta.
Drullo, Eurillo , & Irene,
Drul. MAledetto sia il seruire,
e colui, che lo trouò.
Oggi giorno ogni Padrone
perdut’ ha’ la discrezione,
e per noi, lo uò pur dire,
la pace casa l’Diauol sen' andò.
Maledetto &c.
Io non in tendo, come
da poi ch' egl’ è in prigione ,
sia fatto si bestiale il mio Padrone.
Sempre guai, sempre rabbie,
or
or la uuol con iì Cielo, or con la terra.
In questo Eur. & Ir. àrriuano ,
e sentono.
si lamenta d’ Alfonso.	(	mazza
con Dorisbe s adira , con Fileno schia-
Eur. da se. Con Dorisbe e che sarà?
Ir. da se. Con Fileno e perche?
Drul. Insomma uuol squartare, scorticare,
ognun precipitare .
Deh fortuna, alrnen fallo un di satollo,
fallo tanto salcar, ch’ e rompa il collo.
uuol partire.	ato?
Eur. Drullo, che fai? Ir. Perche tanto arrabi-
Drul. Ora si ch’ io c’ ho dato
Eur. Che hai ? Ir. Che c’ e ? Drul. Niente.
Eur. E perche tanta collera ?
Ir. E perche tanta rabbia ? (abbia
Drul. L' auerui qui d’ intorno è il peggio ch’
Eur. Che diceui poi anzi?
Ir. Di che parlaui or’ ora ?
Drul. Di nulla, Ir. E pur t’ intesi
di Fileno parlare.
Eur. E di Dorisbe ancora hai pur parlato.
Drul. Voi m’ auete ammazzato.
Tiratemi,
feritemi,
eccoui il petto, e il sen,
Son nelle uostre mani,
crudelissimi cani,
D4	ti-
tirate, ch' io son morto, ò pocomé
Eur. Ma intanto non uuoi dir quel ch’ abbia
Ismeno
con Dorisbe. Ir. E Fileno,
Drul. Don Dorisbe, e Fileno egl’ è adirato,
perche l’han minchionato.
Eur.
jr. a 2- E non altro?
Drul. Non altro. Orsù m’inuio
a ricercar’ Alfonso, se ui piace,
addio, gente da ben, restate in pace
parte .
Eur. Signora, uoi uedete,
quest’ Amor traditore
studia per tribolarci a tutte l’ore .
Però se con costui uoi u’ impacciate,
guardate quelche fate.
Belle donne imparate da me
a burlarui del nume d’ Amor.
Dibatta pur l' ali,
auuenti pur strali,
che di uincermi modo non u’ è,
ch’ a’ suoi strali ho di perfido il co
Belle &c. parte.
Ir. Ah così potess’ io
liberar l’ alma dall' incendio mio.
Nò, che non posso togliere
da lacci di’ Cupido
l’innamorato piè.
Ten-
Tento inuano il nodo sciogliere,
troppo uago, troppo fido,
mio bel nume, Amor ti fè.
Nò che &c.
Scena	5ta.
Arsace, e detta.
Ars da se. DAmor fra se fauella-
Qual' è, qual’ è, mia bella
l' auuenturato oggetto,
che fra i lacci d’ Amor cosi t’ auinse?
Ir. Tu sol dei mio gioir sei la cagione.
da se. Pur ch’ io serua a Fileno,
dica la lingua ciò che nega il core.
Ars. Dunque più non mi sprezzi?
Ir. Cangiai gli sdegni in uczzi.
Ars. Sarai sempre così? Ir. Forse ne temi?
Ars. Nò, ch’ il bel del tuo uolto
Mi fa sperar, ch’ a mio fàuor non meno
Alma bella, e fedel ti urua in seno.
Vagheggiar tuo uolto amabile
Senz’ ardor e un’ impossibile
Fatto è il cor’ nouello Dedalo
de’ tuoi Lumi al raggio lucido,
e in mirar caduco, e labile,
ch’ ei non mora è un’ incredibile .
Vagheggiar.
Ir. Cosi soaui accenti
m’
m’incatenano l’ Alma,
riportan nel mio sen l’ antica calma.
Ruscelletto,
garruletto,
che fra sponde di smeraldo
baci i fiori, e l’ erbe ingemmi,
col tuo dolce mormorio
deh racconta all’ idol mio
l' alto ardor, ch’ io porto in petto.
Ruscelletto &c.
,, Ars. Se stai constante, ogni mia gioia èspeta.
„ Ir. Se l’ Idol mio m’ e fido, io son contenta.
„ Ars. Non bramo di più ,
„ Ir. a 2. mi basta così,
,, fra tutti gl’ amanti
„ più fidi, e costanti
,, di me non s udì,
„ più lieto non fù.	Nor.	&c.
Scena 6ta.
Ismeno, che scriue, Arsinda, e poi Alfonso
Ars. Ecco Ismeno. A Dorisbe
con fedeIta si serua .
Ismeno. lsm. Ah temerario,
ah traditor’, e dopo
si grani ingiurie , e tante
osi di comparirmi ancor d’ auante ?
Parti, fellon. Ars, T’inganni- lsm. Ancor
fauelli ?
Con-
Con la pace, ch' a me tu portasti
uanne barbaro, perfido uà.
sian l’ ingiurie, che a me preparasti
la mercede di tua crudeltà.
Con la &c.
Ars. Ascolta almen-lsm. Non più.
Dagl’ occhi miei t’ inuola
Alf. esce Contro costui perche tanto rigore?
lsm. Ei mi fù traditore .
Alf. E tu come , perche
t' aggiri in questo loco?
Ars. Per ben seruirti adoperai l' inganno:
Alf passa dal tauolino, doue scriueua Ismeno,
uade una lettera, e la legge,
lsm. Ahime la carta ei uide .
L* ira m’ assale, & il rimor m’ uccide.
Alf. da se. Or da me si comprende
perche contro Fileno Ismen contende.
Ei scriueua a Dorisbe
con sensi di tradito, e offeso Amante,
e perche costui forse
d’ impedirlo hà preteso
dàl zelo suo s è giudicato offeso.
Dunque Fileno è fido. Ad lsm. E tu per
anco
pensi a Dorisbe, e non t’ accorgi ancora,
che s ell' è ia mio potere,
cederla a me tu dei,
e soggettar tue uoglie ai uolcr miei?
Ism.
Ism. Ah che pur troppo il petto
al rigor del suo fato
crudelmente è soggetto.
Signor, di tue fortune
non dubitar, ch’ io non trattengo il corso
ma dal suo gran dolore
non può non risentirsi offesso il core.
„ Sdegno chiuso in petto amante
„ è un’ incendio in mezzo alcore,
,, ch’ indi acceso, e diuam pante
„ forz’ è ben, che scoppi ancor.
„ Sdegno &c,
Alf. Ma di, per qual cagione
quà mi chiamasti ? Ism. Solo
per ottener dalla tua gran pietade,
giache perdei Dorisbe,
ò morte , ò libertade.
Ars. da se. L' un’ e l’ altra a me graue
ugualmente saria.
Alf. Odi, di queste due
quella ti toccherà,
che Dorisbe uotrà.
Meco uienij ò Fileno. parte.
Ars. Obedisco, signore. parte.
Ism. Dunque di queste due
quella mi toccherà,
che Dorisbe uorrà?
Dunque questa crudel non sazia ancora
per colmar sua perfìdia
pro-
procura ancor, ch’ io mora?
Armati pur crudel
contro d’un cor fedel
di sdegno, e di rigor.
Saprà resistere
a tante ingiurie
il petto, e uincere
delle tue furie
il barbaro furor. Armati &c. parte.
Scena 7ma.
Ruggiero, e D. Ferrante.
Rug. VDisti, D. Ferrante. Allor che disse,
che Dorisbe ad Alfonso
giurata auea le fede,
era ucrace Ismeno.
D.Fer. E perche dunque or nega,
ciò che auima promise?
Rug. Vn cor così uolubile, e incostante
non uidi per drante,
e s Alfonso si sdegna	tempo
ha ben ragion. D. Fer. Signor, non e piu
d’ usar con lei pietà,
se perdoni al castigo,
costei la tua rouina un di sarà.
Ai rigori omai t’ auuezza,
e pietà non auer più,
che con chi ragion disprezza
l’ esser rigido è uirtu.
	Ai rigori &c.
Rug, Risoluo di tentar l' ultime proue.
il Ciel, che mie miserie, e soffre, e uede
uoglia almeno, che gione.
Non spera riposo
l' afflitto mio cor ,
il fato seuero,
che legge non hà,
mi fè prigioniero
di sua crudeltà,
ne spero pietoso
mai farne il figor. Non &c.
D.Fer. Signor, giunge Dorisbe. Adesso è tépo,
perch' in lei tat’ orgoglio ornai si smorze
d' usar l’ultime forze .
Scena 8 va.
Dorisbe, e detti.
Dor. PAdre, spero, ch’ ormai
dell' innocenza mia giustisicato,
ui sarete placato.
Rug. Erri, Figlia proterua ;
e quanto più da me
di tue follie s intende ,
tanto più nel mio sen l' ira s’ accende.
Ad Alfonso ora attendi
ciò che li promottesti, e questa sia
per te la prona estrema
della paterna sofferenza mia.
Dor. Padre, fusti ingannato-
Rug.
Rug. Non più se m’ ingannasti, inganno certo
non fù ciò ch' a me Ismeno
poc’ auanti narrò. Dor, Fù questo ancora
un’ ingano, oh fignor. Alf. Taci & intedi
ciò ch' a ragion sdegnato
d’ oprare hò destinato.
Se d’ Alfonso in poc’ ore
sposa non ti uedrò,
tu mia figlia non più, non più tuo Padre,
manemico crudel io ben sarò.
parte con. D. Fer.
Dor. Padre, Padre - Ah infelice,
e perche dal mio fato
di morirmi d’ affanno or non m' è dato ?
Miei lumi uersate
di pianto un torrente.
Quest’ Alma dolente
non può più sperare,
s’ ancor di trouare
nel Padre li è tolto
soccorso, e pietà.
E come potrà
più reggersi in uita,
se pace , & aita
dal Padre non hà?
Scena 9na.
Alfonso, e poi Arsinda.
Afl. DI quella pace intraceia,
che sotto Regio tetto	ne-
nega d’ auer dentro al mio cor rice, to,
a uoi ne uengo, oh care,
ombre amiche, e beate, in uoi confido
ritrouar quel riposo,
che uicino al mio ben sperar non oso.
Siede cparla col ritratto di Dor.
Deh cosi potess’ io
fauellar con colei, che si m’ offende,
come con uoi fauello,
adorate sembianze,
che se sete insensate
con ingiurie, e disprezzi
almen come colei non m’ oltraggiate.
Vi bacio sì u’ adoro,
sembianze del mio ben.
Bench’ offeso , uilipeso ,
porto in petto il foco acceso
dal fulgor di que bei rai,
che uedendo aneor ch’ io moro
il suo fiero tenor non cangian mai.
S' addormenta col ritratto in mano.
Ars. Che miro ? E questi Alfonso
da graue sonno oppresso.
Perfido, traditore,
uedi com' ora m’ offre amica sorte
il mio tradito Amore
campo di uendicar con la tua morte.
Manò, uiui Tiranno
per tuo maggior affanno .
Ma
Ma che uedo ? L’ effigie
di Dorisbe è pur questa .
Per schernir’ il fellone
benigno Amor m’ appresta
una nuoua inuenzione.
Cambia il ritratto.
Da questa mano inuolo
di Dorisbe il ritratto,
& in uece di quello il mio ci adatto.
D’ ingannarti mi piace così,
menzognero, crudel, traditor.
Mi schernisti,
mi tradisti,
soffri dunque, e di te lagnati
per uendicarmi undi
s’ io ti schernisco ancor.
D’ingannarti &c.
Ma si risueglia Alfonso. Amor cortese
seconda il mio desire,
e fa, che quest’ ingrato
conosca l’ error suo, sia mcn spietato.
parte.
Alf, S' alza. Ah ch’ a un cor infelice
ancora in grembo al sonno
breue tregua al suo duol sperar non lice.
Questo cor uso a penare
spera inuan, se pace spera,
che la quiete ,& il riposo
fatto a lui non mcn penoso
E	con
con sue larue ancor li dice,
che giamai patrà domare
il rigor di quell’ altera.
Questo &c.
guarda il ritratto. Si, tù d’ ogni mio ben —
Ma, oh Dio , che uedo ?
Chi mi schernì? l’ imagine d’ Arsinda
da me già un tempo amata,
di quella di Dorisbe in uece come
uenne nelle mie mani? Ah ben m’ accorgo
ch' anch’ estinta costei
uuol, ch’ in me uiua la memoria eterna
di sua tradita fe, de’ falli mici.
Errai, ben lo confesso;
ma s’ Arsinda è già morta,
più di me non si cura, e forse uolse
nell’ amor di Dorisbe
di troppo uil tacciarmi. Ombra adorata,
seconderò tue brame,
Tiranno mi farò. Dunque dell’ empia,
se piu mie uoglie a secondar dimora ,
mòra l’ amante, e mora il Padre ancora.
Scena 10.
Drullo , & Eurillo.
Drul. con una fiasca diumo.
Vino, vino traditore,
mel’ hai sonat’ a fe.
le gambe tremano,	il
il capo girami,
la lingua fà' te- te -. Vino &c.
Ma già ch’ il mal’ è fatto ,
e non e’ è più rimedio ,
beuiamo un’ altropò.	beue.
In somma questo bere
e una bella delizia, è un gran piacere.
Guardate, guardate,
Medusa fra le stelle, oh che spropositi.
Il sol mi guarda , oh tò .
Guarda, guarda, minchione,
son più bello di te quel che stà bene.
Eur. Drullo? Drul. Guardami bene. (uè
Eur. Oh questo si l’ ha presa. Drullo? Dru. oh
anche la luna fà all’ amor con me. (teue-
Voglio osseruarla un po col canocchiale
Eur. Li leua la fiasea dalla bocca.
Finiscila, Animale.
Drul. Ci mancaua a tentarmi Ganimede .
Fratei, uanne con Dio ,
di più sublime sfera è l’ Amot mio .
Eur. Drullo non mi conosci ?
Drul. Ti conosco ben bene,
ma di te non mi curo.
Eur. Chi son' io ? Drul. Tu - tu - sei
il Coppiero di Gioue.
Eur. Poueretto,
l’ ha' beuuto schietto schietto,
e poi li hà fatto male.
E2	Alza
Alza in su,
e il uin uà in giù,
dolce par, ma chi lo beue
diuenta presto presto un’ animale.
Poueretto &c.
E non conosci Eurillo?
Drul. Eurillo? oh che t’ arrabbi,
t’ hò cercato tre ore,
alla mia innamorata
uoglio, che noi facciam la serenata .
Eur. Chi è costei, ch’ adori? Drul. La lu luna-
ma pria bisogna bere. Eur. Oh questo nò
Drul. Afe, che tu barai, L' abbraccia.
Enr. Fermati, ch’ io berò. da se. Farò léuiste
per secondar l’ umore.
Drul. E’ egli buono? Eur. Sicuro.
Drul. Anch’ io uò ber’ un poco, beue ora
cantiamo.
Eur. E che direm? Drul. Dirai quelche die’ io.
Eur.
a 2. Bella Dea, ch’ il mondo illumini
Drul,
Lascia il Cielo, e uieni a me.
Questo core innamorato,
se tu tardi, è disperato,
se tu uien, uedrai, che Drullo
nouello Endimion sarà con te.
Bella &c.
Drul. Non si può fardi più.
Tu
Tu ca - canti pur bene .
Cantiamo un’ altro poco. Eur. ohibò ?
Drul. Perche ?	(ben qui.
Eur. Voglio, che cen andiamo. Drul. Io stò
Eur. Hò compassion di lui. Guarda, la luna
ci chiama a se, corriamo.
Drul. Corriam, ch’ è uero afe. cade.
Eur. Vuoi far il brauo, e non ti reggi in piè.
Alzati, presto. Drul. Adesso
Ohime, ch’ hò rotte l' ossa.
Eur. Lo seguo, acciò non cada in qualche 
fossa. partono.
Scena 11.
Irene, Arsinda.
Ir. LOntan da chi s’ ama
gioir’ il cor non sà,
son secoli i momenti
insipidi i contenti,
se il ben, che si brama,
presente ognor non s’ hà.
	Lontan 	&c.
Oue sei, mio Fileno, oue t’ ascondi ?
Ti cerco, e non ti trouo ,
ti chiamo, e non rispondi.
Ma quà giunge il mio bene .
Ars. Allor che l’ empio
l’ effigie mia mirò, quai saran stati
del core i sentimenti,
della lingua gl’ accenti?
Eue
Questo torno a Dorisbe -
Ir. da se. Parla con un ritratto.
Ars. Che di questo mio fatto
gran gioia sentirà.
Ir. da se. Lo guarda ancor. S’ascolti. Che dirà?
Ars. E pur uaga Dorisbe. E chi potria
mirarla , e non amar ? Ir. da se. Dunque
Dorisbe.
ama costui ? son morta.
Ars. A Dorisbe fi uada. Ir. Arresta il passo.
da se. Simulerò lo sdegno. Equal ti chia-
affar di tanta fretta?	(ma,
Scena 12
Dorisbe, e detti.
Dor. ad Ars. Purti ritrouo. Irene uanne, sola
uo par lar con Fileno, (dita,
Ir. da se. Questo di più? Infelice, io son
trama mi uendi cherò. parte.
Dor. Sono impaziente
di saper cio, ch’ auoi rispose Ismeno.
Ars. Signora, allor ch’ io uolsi
con Ismeno spiegare i sensi miei,
la giunse Alfonso, & io,
fauellar non potei.
Dor. Se dunque appresso Ismeno -
Scena 13.
Ruggiero, e detti.
Rug. ANcor d’ Ismen tu parli? Ancor d’
Alfonso	(alle
alle nozze non pensi?
Ars. a Dor. Costanza, oh mia signora,
Rug. E non rispondi ancora ?
Dor. Padre amato, il cor ti moua
d’una figlia il lacrimar.
Dammi morte, e mi tormenta,
son contenta.
ma dell’ amato ben non mi priuar.
Padre &c.
Signor non t’ irritar .
Scena 14.
Alfonso, e detti.
Alf. da se. Ecco Dorisbe,
or’ è tempo, oh mio core,
d’ usar con quest’ ingrata il tuo rigore.
a Dor. Dorisbe, omai t’ appiglia
aciò, che men t’ offende,
ò sposa a me sarai,
ò eh’ il Padre, e l’ amante
caderti auanti estinto or’ or uedrai.
Ars. da se. Nuouo timor m’ assale.
Dor. Signor, son' io la rea,
tu di questi innocenti
alla uita perdona, a me s’ aspetta
le saette incontrar di tua uendetta.
Iot’ offesi , io t’ offendo,
se pur può dirsi offesa a chi s’ adora
fede osseruar ne’ gran perigli ancora.
Alf-
Alf. Non più, se il lampo sprezzi
il fulmin prouerai.
Furie assisteremi
nel cor ponetemi
atro uelen .
Amo di spargere
di sangue il suol,
gia che di frangere
non mi sorti di questa cruda il sen.
Furie &c. parte.
Rug. Ah figlia indegna, ah dispietata figlia
uolesti il mio morir, godi ch’ ormai
il mio morir aurai.	parte.
Dor. Ahime chi porge a iuto in tant’ affanni
a una Donna innocente?
Chiedo soccorso al Cielo, e il Cìel non
sente .
Se negate a me pietà,
oh tiranne Deità,
le furie dell’ abisso io pregherò.
Diuoratemi,
Subissatemi
mostri deil’ Erebo,
forse fra uoi men misera farò .
Se negate &c. parte.
Ars. Perduta e la speranza.
Amor sarai contento,
sol' il morir per tua cagion m’ auanza.
Vieni, oh morte, e in questo seno
sfo-
sfoga amica il tuo furor,
se perduta è ogni mia spene
puoi tu sola alle mie pene
darrimedio, e far che meno
mi tormenti il mio dolor.
Vieni &c. parte.
Scena 15.
Irene, & Alfonso.
Ah Fileno inumano,
perche spietato,insano,
tradir chi t’ adorò ?
schernita, uilipesa e che farò ?
Grida Amor sdegno e uendetta
contro il barbaro traditor,
Sarà la uoce il turbine,
sarà la lingua il fulmine,
ch’ alla mia fè negletta
appresterà, fomenterà il rigor.
Grida &c.
Ma giunge a punto Alfonso,a lui si scopra
la sua, l’ offesa mia,
egli di se, di me uindice sia.
Per atterrir Dorisbe,
feci al Padre, ad Ismeno
ordinar ch’ a me uenga, a lei dauante
morte gl’ intimerò. L’empia a tal nuoua
dimmi, Amor, che farà?
spero, che cederà. Ir, Sire, gran cose
deuo
deuo a te palesar. Tradito sei. (Dei?
Fileno è il traditor. Alf. Che sento, oh
narrami il tutto, ir. Egli Dorisbe adora.
Io del nouello amor m’ accorsi or’ ora.
Alf. Non può crederlo il cor. Tu com’ il sai?
Ir. Col ritratto di quella
fauellando d’ Amor lo ritrouai.
Alf E non menti ? Ir. Son certi
gl’ oltraggi tuoi, signor. Alf. Ma qua ne
giunge
con Fileno Dorisbe, in questo loco
m’ occulterò per discoprir Pinganno.
Ir. Anch' io m' ascondo. da se. Il fio
ne pagherai, Tiranno.
Scena ultima.
Dorisbe, Arsinda, detti in disparte,
e poi Tutti.
Dor. DVnque eh’ Ismeno mora? cora?
dourò soffrire, e con lui il Padre an-
ahi che troppo seuero è il mio rigore,
s' ancor d’ imperuersar non teme, oh Dio
contro del Genitore.
Ars. Signora, fra le fiamme
l' ore fi perfeziona, e tu costante,
se per Ismen non sei,
il pregio perderai di uera amante.
Alf da se. Ah traditor. Dor. Ma poi
crudel mi chiameran. Ars. Crudel non
meno,	sarai
sarai sesprezzi Ismeno.
Alf. da se. Più non posso soffrir. Mori,fellone.
Impugna uno stile, e ua per uccidere Ars.
Ir. Aiuto. Vengono tutti.
Dor. Salua Ars. dal colpo. Ferma. Ancora,
crudei, sazio non sei ?
Alf. fyli tradisce costui. Dor. Menti, spergiuro
Rug. Infelice, che uedo ? lsm. Ahime, che séto?
Alf. Eidi te amante
a sprezzarmi t’ esorta. Ars. Erri, tiranno.
Mira questo mio uolto, e scorgerai,
che tu sei tradiror, io non errai.
Quell’a torto schernita ,
quell’ Arsinda son’ io, che si uilmente
potesti abbandonar, quella ch’ in corte
di Dorisbe ne uenni,
per impedir del tuo malnato amore
lo spietato furore.	(gi	;
Or stringi il ferro, e nel mio sen l’ immer
pur troppo il Cielo offesi,
allor ch’ un traditor d’ amar pretesi.
Alf. Sogno, ò deliro? Io ti credei già estinta.
Ars. A tuo malgrado io uiuo, e quel ritratto,
che ti cambiai , mentre dal sonno 
oppresso
nel giardin ti trouai,
ch’ Arsinda ancor uiuea
dimostrar ti douea.	(	uezza.
Ism. da se . Mio cor, respira, & a sperar t’ au
Rug.
Rug. da se. Quest’ è il di de’ portenti.
Ir. E se Fileno è donna .
son finiti per me d’Amor gli stenti.
Dor. Ora di, che ti sembra
di me, d’ Arsinda, di te stesso ? Dunque
così la fede osserui a chi t’ adora ?
Dillo, del fallo tuo t’ accorgi ancora?
jilf Or conosco , eh’ errai,
e contro il giusto, e contro amor peccai.
All’ emenda m’ accingo.
Ismeno è tua Dorisbe,
io d’ Arsinda sarò. Si strani euenti,
fabri saran de’tuoi, de’ miei contenti.
Ruggiero, intanto a te perdono io 
chieggio
di ciò, ch’ oprai finora,
e s’ oprai per amor, sperar lo deggio.
Rug. A bastanza, oh gran Re, finor godei
di tua pietà gl’ effetti,
ne meco tai discolpe usar tu dei.
Alf. Gcnerosa Dorisbe, oh quanto deuo
al tuo rigor, s’ omai
questo mi rende il ben, che sì bramai.
Dor. Alfonso, apprendi, e questo sol mi basta,
che giust’ è amor, ch’ il Cielo a noi
soli urasta.
Ars. Mira, come con bella, e strana sorte
per torr’ il core agl’ amorosi affanni,
mi giouaron gl’ inganni-
Alf-
Alf L’inganno tuo per me fu fortunato,
se rendendomi te fammi beato.
Ism. da la mano a Dor. & Alf. ad
Arsinda.
Ism.
Dor. a 4. Dopo tante auuerse sorti
Alf. pur ti stringo a questo sen.
Ars.
Dor.	La costanza dei mio cor,
Ism.	La fermezza del mio Amor,
Dor.
a 2. disprezzo ruine, e morti,
Ism.
d’ Astri infidi al rigor non uenneme
Ars.	se fu offesa Ia mia fe,
Alf.	se te estinra rl cor crede
Ars.	Ricompensa a tanti	torti
a 2.
Alf.	sia l’ onor di goderti,	amato	 ben,
a 4. Dopo &c.
Ars. da Dor. Signora, Irene amai. De’ suoi
sponsali
chiedo l’ onor. Dor. E giusto. Irene porgi
ad Arsace la destra. Ir. Or che Fileno
con strana mutazione
donna diuenne, ad in contrar tue uoglie
uolentieri mi uolgo. Io son tua meglie.
Ars.	Amor quanto son	cari	i	 tuoi tor
a2. menti
Ir. se dopo breue affanno
proua beato il cor tanti contenti.
Drul, Senti, Euril, s’ anch’ a te
desse il cor di passare ,
com’ ha fatto Fileno ,
sotto l’ Arco baleno, (mo,
uorrei ben, oh’ anco noi la concludessi
-e per marito, e moglie ci prendessimo.
Eur. Guardate figurin da prender moglie.
Bisognerebbe bene,
che’ io n’ auessi appetito .
so ch’ auerei trouato il mio marito.
Alf Orsu tempo fia omai
dagl’ amorosi affanni
di passare ai contenti,
e il mondo in questo di da’ nostri euenti
ha compreso a bastanza
Tutti Ch’ in Amor per goder ci uuol
Costanza.
Fine del Dramma.
VARSAVIAE
Typis Collegij Scholarum
Piarum. Anno Dni. 1691.